di FRANCESCO MARIA PEZZULLI (in Effimera.org, novembre 2013)
Una storia esemplare di come i call center siano veicolo di elevato guadagno per le grandi imprese di comunicazione. Una storia esemplare: grazie allo sfruttamento della condizione precaria si creano sinergie e collusioni a vantaggio della rendita e dei profitti e a scapito delle vite. La paradigmatica storia di Call & Call e della commessa di Mediaset Premium. Continua l’inchiesta sui call center calabresi.
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Call & Call, call center milanese con sede a Locri, fino al 2010 ha avuto una sede operativa anche nella Cosenza Valley[1]. A seguito di una rocambolesca occupazione degli uffici (che ha costretto per un giorno in più del desiderato il responsabile aziendale milanese giunto sul posto a decretare il licenziamento dei 50 operatori cosentini) C&C è stata venduta, a fine novembre 2010, al colosso del settore Almaviva. Non ci è dato di sapere la logica che ha governato tale cessione: gli affari andavano bene, C&C si apprestava a divenire un call center leader ed il suo presidente e fondatore, un uomo ex mondadori, dal 2006 ricopriva il ruolo di presidente di Assocontat con tutto ciò che questo comporta in termini di strategia aziendale e visibilità nei confronti di potenziali clienti. E’ certo che l’occupazione non ha fatto granché paura all’azienda, l’azione sindacale “al ribasso” ha mostrato subito efficacia ed il “fronte duro” degli operatori si è presto dissolto. Peraltro C&C ha una certa esperienza nella gestione di situazioni conflittuali, come dimostra il fatto che solo pochi mesi prima, a febbraio, l’azienda di Cinisello ha rilevato dal gruppo Phonemedia (che di li a poco fallirà lasciando a spasso solo in Calabria 2000 persone) la Answers di Pistoia con oltre 500 operatori che da 101 giorni presidiavano (hanno occupato) gli stabilimenti[2].
In questo scritto intendo quantificare il fatturato cosentino di call&call e la sua distribuzione tra i soggetti in campo: l’impresa committente, il call center (impresa di servizio), gli operatori outbound. Ai tre essenziali, vedremo, se ne aggiunge un quarto: l’istituto finanziario.
Il fatturato, è noto, è pesantemente influenzato dalla produttività degli operatori. A maggiori volumi di telefonate gestite corrispondono maggiori guadagni per il call center. Non è un caso, che un modo di dire consueto degli operatori è che nel call center il “tempo è tutto”[3]. Abbiamo detto che la nostra storia è relativa ad una commessa per la quale “gli affari andavano bene”, e non è esagerato dire che il piccolo call center cosentino ha influito non poco sulle performance economiche del gruppo che in quegli anni sfonderà il tetto dei 50 milioni di euro di fatturato[4]. La commessa Mediaset Premium che C&C si trovò a gestire dal 2007 al 2009. Si è trattato di «una commessa da favola, che anche il più imbranato degli operatori ce la fa a vendere… nei miei cinque anni nel call center niente di più facile, i più capaci arrivavano anche a fare 10 abbonamenti al giorno». Per ogni contratto effettuato incassava una cifra di tutto rispetto: 100 euro.
Con Massimo, Luca e Alessandra, che di abbonamenti Premium ne hanno “piazzato” numerosi nel triennio in questione, siamo partiti da questa domanda: quanti contratti mediamente è riuscito a chiudere un operatore? Secondo i loro calcoli sono almeno quattro, sicuramente tre: «non ne faceva nessuno o solo uno quelli appena arrivati, poi già dopo qualche giorno cominciavano a farne pure loro; oppure ne facevano solo uno o due quelli che in quei giorni avevano problemi e non riuscivano ad ingranare… ma la maggior parte di noi che già lavoravamo da un po’ e sapevamo come funzionava ne facevamo almeno cinque al giorno e mi sto tenendo basso nella stima… come ti dicevo i più capaci ne facevano anche una decina». Questi numeri ci sono stati confermati anche da loro ex colleghi sentiti appositamente per telefono. Dunque, tre abbonamenti al giorno.
Gli operatori C&C che hanno lavorato alla commessa Mediaset Premium sono stati 20 per i primi 6 mesi del 2007 e 50 (tutti) dalla seconda metà del 2007 fino al termine del 2009 (30 mesi). Hanno lavorato sei giorni a settimana: dal lunedì al venerdì tutti e 50; il sabato – come nei primi 6 mesi – solo 20.
La tipologia di abbonamento venduta da C&C ha avuto un costo mensile di 30,00 euro; qualora l’abbonato sia rimasto fedele per l’intero periodo contrattuale (un anno) l’esborso è stato di 360,00 euro. Il singolo operatore, dunque, con tre vendite al giorno ha incrementato quotidianamente le finanze di Mediaset Premium di 1.080,00 euro. Di questi 300,00 vanno al call center e 780,00 rimangono a Premium. All’operatore vanno 30,00 euro, 10 a contratto, meno del 3% del fatturato generato.
Per calcolare i guadagni complessivi di Mediaset Premium e di Call & Call, nonché le cifre relative ai compensi per gli operatori, bisogna ora moltiplicare i valori di sopra per il numero di giorni lavorati e per il numero di operatori impiegati.
Mediaset Premium
PERIODO | GIORNI | N° OPERATORI | FATT. 1G*OP | TOTALE (EURO) |
Gennaio – Giugno 2007 | 277 | 20 | 1080 | 5.983.200,00 |
Luglio 2007 – Dicembre 2009 | 630 | 50 | 1080 | 34.020.000,00 40.003.200,00 |
Il fatturato lordo di Mediaset Premium, relativamente alla singola commessa di C&C è di oltre 40 milioni. Di questi, più di 11 vanno al call center, mentre restano all’impresa committente 28.890.200,00 euro.
A questo punto, trattandosi di ricchezza finanziaria, quindi parzialmente incerta per definizione (gli abbonati potrebbero disdire il contratto per più motivi), Mediaset Premium è molto probabile che abbia ceduto il suo credito ad un Istituto Bancario o finanziario. In questi casi la scelta ricade tra due modalità: uno sconto del credito pro soluto (quando il cedente garantisce solamente l’esistenza del credito, ossia non deve rispondere dell’eventuale inadempienza del debitore e cioè scarica i rischi sulla banca) oppure uno sconto del credito pro solvendo (quando il cedente è anche garante della solvibilità del credito). Nel primo caso, come ci spiegava un manager di banca specialista nelle operazioni di credito, la percentuale che il possessore del credito deve cedere all’Istituto che sconta è del 20% circa (si determina precisamente in base ad alcune caratteristiche: posizionamento dell’azienda nel settore merceologico di appartenenza, informazioni bancarie e commerciali, analisi dei bilanci, eccetera). Nel secondo caso si aggira intorno al 10%.
Trattandosi di un credito diffuso, quindi particolarmente critico, è lecito supporre che Mediaset Premium privilegi lo sconto pro solutio e ceda all’istituto bancario di riferimento 5,8 dei quasi 29 milioni. Gli rimangono a fine processo – questa volta monetari in cassa – 23.112.960,00 euro.
Uscita dal gioco Mediaset Premium, passiamo a calcolare il fatturato di Call &Call. Questa la tabella di sintesi:
Call&Call
PERIODO | GIORNI | N° OPERATORI | FATT. 1G*OP | TOTALE (EURO) |
Gennaio – Giugno 2007 | 277 | 20 | 300 | 1.662.000,00 |
Luglio 2007 – Dicembre 2009 | 630 | 50 | 300 | 9.450.000,00 |
11.112.000,00
Dagli oltre 11 milioni di euro vanno sottratti i costi dei compensi degli operatori (il 10%). Mentre le spese di struttura e del personale responsabile (1 dirigente assunto a tempo indeterminato con funzioni trasversali, in particolare marketing e formazione) andrebbero sottratte in quota percentuale, in base al peso relativo che la commessa Mediaset Premium ha assunto sul fatturato totale di Call&Call a Cosenza nel triennio in considerazione. Ma bisogna tener presente che tale fatturato totale del triennio non deriva esclusivamente da commesse private, ma per una parte consistente anche da agevolazioni pubbliche. Call & Call, infatti, come la stragrande maggioranza delle imprese del centro nord con stabilimenti operativi nel Mezzogiorno, ha goduto dei finanziamenti europei e regionali per lo sviluppo delle aree arretrate[5]. E’ difficile ricostruire la cifra precisa di questi finanziamenti acquisiti dal 2007 al 2009. “Voci di corridoio” parlano addirittura di 10 milioni di euro nel triennio ma non abbiamo al momento notizie certe in merito (la cifra non deve stupire, la Phonemedia nel solo 2008 – prima di fallire – ha ricevuto dalla Regione fondi europei per 11 milioni di euro al fine di stabilizzare nel triennio i suoi 240 operatori). Quello che è certo, comunque, come afferma il presidente Costamagna, è che C&C ha avuto più finanziamenti regionali nel triennio che gli hanno permesso, tra l’altro, di contrattualizzare gli operatori della sede di Locri[5]. Cosi come è certo che, tra dicembre 2012 e febbraio 2013, C&C ha ricevuto dall’amministrazione regionale della Calabria oltre 870 mila euro (il 58% di un finanziamento di quasi 1,5 milioni di euro ottenuto sui fondi FSE 2007/2013) per “rafforzare l’inserimento o reinserimento lavorativo dei lavoratori adulti, dei disoccupati di lunga durata e dei bacini di precariato occupazionale attraverso percorsi integrati ed incentivi”[6]. Insomma, il business di C&C non si basa solo sullo sfruttamento dei telefonisti ma anche sulla cecità interessata delle classi politiche locali, relativamente a strategie e politiche di sviluppo socioeconomico.
Ipotizziamo allora che i costi generali e di struttura siano coperti dai finanziamenti regionali (in realtà questi ultimi sono ben superiori) e ritorniamo ai nostri calcoli sul guadagno “da lavoro” di Call&Call che è poco più di 10 milioni (10.000.800).
Per quel che riguarda invece gli operatori i loro compensi complessivi superano il milione di euro. Mediamente ciascuno di loro ha guadagnato 780,00 euro lorde mensili, la stessa cifra che ogni singolo operatore ha fatto guadagnare quotidianamente a Mediaset Premium, senza contare che nello stesso giorno ha incrementato le casse di C&C di altre 300,00 euro.
Operatori
PERIODO | GIORNI | N° OPERATORI | FATT. 1G*OP | TOTALE (EURO) |
Gennaio – Giugno 2007 | 277 | 20 | 30 | 166.200,00 |
Luglio 2007 – Dicembre 2009 | 630 | 50 | 30 | 945.000,00 |
1.111.200,00
Sappiamo bene che lo sfruttamento di un operatore di call center non riguarda solamente il tempo nel quale egli lavora, ma coinvolge anche la sua mente e, con essa, l’intero tempo di vita. Per meglio dire, nei call center
«è messa in piedi una macchina organizzativa totalizzante, nella quale gli operatori (e le loro qualità intrinseche) sono imbrigliati in piattaforme informatiche ed in spazi dove si esercita una consistente attività ideologica, che inizia nei corsi di formazione e prosegue quotidianamente sul posto di lavoro (controllo dei team leader, riunioni con responsabili, eccetera). In questo senso, il call center ha una fisionomia particolare, fa convivere la vecchia catena taylorista (oggi informatica) con il “grande fratello” della comunicazione: il corpo e la mente sono completamente coinvolti nell’organizzazione d’impresa, la quale detta i tempi e i modi della prestazione lavorativa e diffonde la novella del “bravo operatore” che, competitivo e vincente, potrà raggiungere se lo vorrà favolose performance e quindi valorosi obiettivi di vendita e guadagno. L’organizzazione del call center, in altri termini, non è volta solo al controllo degli operatori ma mira direttamente alla “produzione” degli stessi»[7].
Cosi come sappiamo che la teoria del valore lavoro, in un simile contesto, non riesce come un tempo a restituire la misura esatta dello sfruttamento. Allo stesso tempo, l’esercizio riportato ci sembra utile per avere un riferimento quantitativo preciso, singolare ma significativo, da comunicare agli operatori che ritengono “naturale” o, peggio, “giusto” il misero compenso che ricevono; e da comunicare anche a quei sindacalisti del settore privi d’immaginazione, che non riescono a far altro che sottostare agli accordi truffa, come quello recentemente controfirmato con Almaviva di Palermo.
Note
[1] Cosenza è stata definita Valley dal management dei call center per la presenza di forza lavoro immateriale a prezzi convenienti. In altre parole, la conurbazione è il contesto regionale dove lo sfruttamento intensivo degli operatori frutta maggiori profitti, in quanto il lavoro immateriale costa meno e le implicazioni giuridiche del rapporto con gli operatori sono quasi inesistenti. Non è un caso che Almaviva sbarca a Cosenza con il “salvataggio” (acquisto) di Call&Call e, mentre chiede la Cassa Integrazione di 632 dipendenti nella sede di Roma, prevede un piano di 250 assunzioni nella sede cosentina. Cfr. Gruppo d’inchiesta sulla precarietà e il comune in Calabria, “Sull’inchiesta politica nei call center calabresi”, in Quaderni di San Precarion.4/2013.
[2] Call & Call è una holding s.p.a con sede legale a Cinisello Balsamo (Milano), dove vengono svolte le funzioni di staff (finanza, personale, It, marketing), e sedi operative a Cinisello Balsamo, La Spezia, Roma, Locri (RC) e Pistoia. Nel complesso delle sedi occupa più di 2000 operatori.
[3] «Il tempo è tutto nel call center. È l’ossessione degli operatori, ai quali la giornata lavorativa viene cronometrata in secondi. Il tempo di una conversazione che si prolunga oltre la media, una pausa che sfora i limiti stabiliti, la chiacchiera con il collega vicino o qualsiasi altra infrazione che allunga il distacco dal videoterminale è immediatamente sanzionata dal team leader, che si aggira come un segugio tra le postazioni, caricatura tragicomica del vecchio cronometrista». La misurazione (in secondi) del tempo in un call center avviene a partire dall’analisi dell’attività svolta in un determinato lasso. Uno dei criteri adottati è il seguente: TMC (tempo medio di conversazione); NR (tempo in cui si è occupati in altra conversazione); WAIT (tempo di attesa tra due chiamate); NOT Ready (tempo in cui si sta gestendo il back office).Cfr. Carlo Cuccomarino, F.M. Pezzulli, “Tra mirafiori e Bangalore” in Il Manifesto del 13/12/2012.
[4] Il giro d’affari (fatturato consolidato) del 2010 ha raggiunto i 50 milioni di euro. Cfr. www.callecall.it/Chisiamo/Storia.aspx.
[5] E’ una storia nota, che dura da svariati decenni. La bibliografia sull’utilizzo del Mezzogiorno come area di sbocco per i propri prodotti, come area di delocalizzazione per imprese del nord, eccetera è sterminata. Ci ricorda il fenomeno periodicamente la Svimez nei suoi Rapporti: «si può ragionevolmente affermare che in assenza di agevolazioni la quasi totalità delle imprese del Centro Nord non avrebbe scelto il Mezzogiorno come area d’insediamento» (Rapporto Svimez 2003 sull’economia del Mezzogiorno, pagg. 672 – 691)
[6] «Come altre regioni del Mezzogiorno, grazie a finanziamenti Ue, la Calabria ha erogato bandi per la regolarizzazione dei lavoratori a progetto destinati ad imprese che li assumano per almeno tre anni; noi li abbiamo assunti a tempo indeterminato, e da novembre a marzo abbiamo concluso il progetto formativo». Intervista a U. Costamagna: “Giovani calabresi: co.co. pro al call center: l’incentivo c’è e noi li stabilizziamo” in Job 24 del Sole 24 ore (21/04/2009)
[7] Cfr. http://opencoesione.gov.it/progetti/1cl201468/
[8] Cfr. F.M. Pezzulli, “La solitudine del telefonista”, in Il Manifesto del 05/07/2013
novembre 16th, 2013|Categorie: Lavoro, precarietà, diritti e conflitti|Tags: Call Center, inchiesta, Precarietà|2 Commenti