di Andrea Degl’Innocenti (in Italiachecambia.org,gennaio 2017)
Piccola agricoltura biologica, dignità dei lavoratori e solidarietà. Sono questi i tre pilastri su cui si basa la campagna Sos Rosarno, nata in Calabria, nella piana di Gioia Tauro, per mettere fine allo sfruttamento dei braccianti e alimentare l’economia locale.
Mentre ci racconta dei “fatti di Rosarno” il suo sguardo si perde in uno spazio indefinito oltre le nostre spalle, come se stesse cercando di riacciuffare ricordi e sensazioni di quei giorni tragici. Siamo a Rosarno, in Calabria, e Giuseppe Pugliese ci sta per raccontare la nascita e lo sviluppo di una delle iniziative di integrazione più rivoluzionarie degli ultimi anni, Sos Rosarno, di cui è socio fondatore. Tuttavia, per capire di cosa stiamo parlando è necessario fare un passo indietro e spiegarne la genesi, che avviene appunto nel periodo immediatamente successivo ai famigerati “fatti di Rosarno”.
Esattamente sette anni fa a Rosarno si respirava un’aria molto tesa. Fra i tanti immigrati, perlopiù africani, giunti nella cittadina calabrese in cerca di lavoro stagionale serpeggiavano voci di nuove aggressioni ai loro danni. Due ragazzi erano stati colpiti con delle pistole ad aria compressa, ma nell’agitazione del momento c’era chi parlava addirittura di omicidio e chi sosteneva che fossero state picchiate delle donne incinte.
Non era la prima volta che succedevano fatti del genere: già l’anno precedente c’era stata una grossa manifestazione di migranti che avevano sfilato assieme a diversi cittadini rosarnesi solidali per denunciare le condizioni di vita inumane dei lavoratori stagionali, pagati una miseria, costretti a vivere in sistemazioni di fortuna come baracche e fabbriche abbandonate e perdipiù soggetti a continue angherie da parte di bande di teppisti.
Il 7 gennaio 2010 la cosa andò diversamente: l’aggressione dei due lavoratori fu la goccia che fece traboccare il vaso. Decine di lavoratori immigrati, che presto divennero oltre un centinaio, si riversarono per le strade di Rosarno spaccando macchine e cassonetti. La reazione non si fece attendere. Un gruppo di rosarnesi (invero una piccola parte della popolazione locale) uscì di casa armato di bastoni e fucili e mise in scena una vera e propria caccia all’immigrato. Quegli avvenimenti passarono alla cronaca come “I fatti di Rosarno”.
Ciò che la stampa non ha raccontato però (o almeno non a sufficienza) fu che nei giorni immediatamente successivi in risposta a questa situazione nacque una iniziativa davvero rivoluzionaria: Sos Rosarno.
Sos Rosarno nasce come una campagna per mettere in regola i lavoratori stagionali a nero e si basa su tre pilastri: la piccola agricoltura biologica, la dignità del lavoro e la solidarietà.
“Siamo partiti da un’analisi della situazione – spiega Giuseppe – cosa che invece la stampa non ha fatto. A loro serviva riempire i giornali e i Tg con titoloni sulla violenza ed il sangue, a noi invece interessava capire perché due categorie di sfruttati, i piccoli produttori e i lavoratori stagionali, si facevano la guerra fra loro invece di coalizzarsi.”
Quello che è emerso è una sorta di catena di sfruttamento in cui il mercato, dominato dalla grande distribuzione organizzata (gdo), aveva stabilito prezzi irrisori per arance e clementini, al punto che i piccoli produttori non potevano più permettersi di mettere in regola i propri lavoratori. I lavoratori a loro volta, sfruttati, malpagati, senza alcun tipo di copertura assicurativa e sanitaria, vivevano in condizioni drammatiche, che di certo non favorivano alcun tipo di integrazione con la popolazione locale, anch’essa vessata dalla crisi economica e dell’agricoltura. Da qui le classiche dinamiche di razzismo, guerra fra poveri, disgregazione sociale.
“Di fronte a questa situazione drammatica abbiamo avuto un’idea: proviamo a saltare la grande distribuzione e vediamo direttamente ai consumatori attraverso i gruppi di acquisto e le reti di economia solidale di tutta Italia.”
È nata così Sos Rosarno, dapprima una campagna, poi un’associazione, ora anche una cooperativa (Mani e Terra, composta da soci sia italiani che africani) che mette in contatto i piccoli produttori biologici locali con associazioni, botteghe di commercio equo e solidale e gruppi d’acquisto di tutta Italia. Un’operazione in cui vincono tutti: vincono i produttori perché non subiscono più il ricatto della gdo e vedono i propri prodotti ad un prezzo ragionevole, vincono i lavoratori stagionali perché i maggiori introiti permettono ai produttori di metterli tutti in regola e di garantire la tariffa sindacale (condizione necessaria per far parte di Sos Rosarno) e vincono i consumatori (o meglio i consumatTori, come si è soliti chiamarli all’interno delle economie solidali per rimarcare il loro ruolo attivo) perché per lo stesso prezzo hanno arance, mandarini e clementini da agricoltura etica e biologica. Inoltre una quota del prezzo viene destinata a progetti di solidarietà in tutto il mondo.
“Un’altra battaglia che abbiamo voluto portare avanti è quella sul prezzo trasparente. Su tutti i nostri prodotti viene indicata la composizione del prezzo: quanto va al produttore, quanto al lavoratore, quante sono state le spese, ecc. Abbiamo proposto più volte a varie catene di supermercati di applicare la stessa politica ma, come c’era da aspettarsi, hanno rifiutato!”.
Oggi la situazione a Rosarno rimane molto critica e la maggior parte dei lavoratori stagionali continua a vivere in condizioni disastrose. Eppure l’esperienza di Sos Rosarno continua a crescere e non ha mai funzionato meglio. Alcuni pensano che sia un’oasi nel deserto, che non potrà mai da sola cambiare lo stato delle cose. Secondo altri invece è un esempio lampante di come le cose potrebbero funzionare, un faro di cambiamento che indica la direzione da seguire.