di ANDREA FUMAGALLI (in Effimera.org, giugno 2019)
La discussione che si è aperta sui cosiddetti Minibot può consentire di fare un minimo di chiarezza sui due temi sempre più spesso all’ordine del giorno: il finanziamento del debito pubblico e i ruoli che la moneta può svolgere oltre a quelli tradizionali di mezzo di scambio e di unità di conto.
Il finanziamento del debito pubblico, prima dell’avvento delle teorie monetariste e del monopolio di emissione della moneta da parte della Banca Centrale Europea (BCE), poteva contare su due strumenti, fra loro complementari: il ricorso ai mercati finanziari tramite la vendita di titoli di Stato (di diversa natura e durata) per rifinanziare i titoli venuti a cadenza e/o finanziare nuovo deficit e le Operazioni di Mercato Aperto, ovvero il finanziamento diretto da parte della Banca Centrale. Lo Stato italiano era l’unico soggetto economico che poteva, infatti, disporre di un conto corrente presso la Banca Centrale (definito Conto Corrente di Tesoreria), a cui attingere nei casi di necessità senza ricorrere ai mercati finanziari. Tale possibilità implicava la creazione di nuova moneta pari all’ammontare del debito creato.
Alla fine degli anni Settanta, in seguito ai diktat delle teorie monetariste che predicavano l’esistenza di un nesso diretto di causa ed effetto, tra creazione di moneta e dinamica inflazionistica, e quindi dopo il noto divorzio tra Banca d’Italia e Ministero del Tesoro (come si chiamava allora l’odierno Ministero dell’Economia), la possibilità di un finanziamento del debito da parte della Banca Centrale viene meno, sino a scomparire del tutto con l’introduzione dell’Euro e con la costituzione della BCE.
Come ci ricorda Massimo Amato in un recente articolo pubblicato su Valori.it, l’attuazione di politiche di Quantitative Easing adottate dalla BCE ha creato un elevato aumento di creazione di moneta: “La crisi di liquidità del 2008 è stata curata con iniezioni di liquiditàsenza precedenti. La quantità di moneta è pressoché triplicata in Europa, eppure il target dell’inflazione del 2% non è stato ancora raggiunto”.
È la dimostrazione che l’assunto della neutralità della moneta non è valido e che il legame tra espansione monetaria e inflazione, se è mai esistito, oggi non sussiste proprio. È da questa constatazione che prende le mosse la Moderna Teoria della Moneta (Modern Money Theory). Tale teoria riconosce che oggi la moneta si è del tutto smaterializzata, è diventata “moneta segno” (come diceva Marx). Non avendo più alcun legame con l’oro, la sua emissione ha solo come vincolo il volume della ricchezza sociale materiale e immateriale esistente. E tale volume è lungi dall’essere raggiunto, dal momento che il processo di valorizzazione contemporanea si fonda sui due fattori produttivi per definizione “abbondanti”: la conoscenza (che si diffonde al crescere degli scambi) e lo spazio virtuale (i cui confini sono ancora da definire, se esistono). Apprendimento e relazioni sociali (learning e network) sono oggi le fonti della crescita della produttività sociale e l’ambito dove la cooperazione dell’intelletto generale è in grado di esprimersi. È su tale espropriazione che si base l’odierna valorizzazione capitalistica e la crescente centralità di una finanza tanto più globale quanto più concentrata in poche mani.
Lungi dal trovarci in un regime di scarsità (la cui drammatica presenza è invece ravvisabile oggi quasi esclusivamente dal lato della sostenibilità ambientale), siamo in un’economia dell’abbondanza. Ed è in tale contesto, che è possibile stampare moneta ex-nihilo (dal nulla), come strumento di finanziamento non solo delle posizioni debitorie ma anche di possibile scelte alternative di investimento.
D’altra parte, occorre ricordare che in un sistema di produzione capitalistico, non c’è accumulazione senza indebitamento.
Tuttavia, le politiche di espansione monetaria della BCE non sono andate in questa direzione. Come ci ricorda ancora Massimo Amato: “La liquidità avrebbe dovuto portare al ritorno della “fiducia”. Ha alimentato invece una crescente sfiducia. Che si traduce in una crescente tesaurizzazione. Chi può spendere non spende. E la tesaurizzazione, come una spugna, assorbe qualunque aumento di quantità, riducendo la velocità di circolazione. Risultato: il salvataggio del sistema finanziario si è fatto a prezzo della ripresa e di diseguaglianze sempre più marcate”
Detto in altre parole: sono le esigenze di tesaurizzazione dell’oligarchia finanziaria a imporre l’agenda e i diktat di politica economica, soprattutto in materia di bilanci pubblici. La falsa ideologia dell’austerity la fa ancora da padrone.
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Oggi la tecnologia ci consente di emettere moneta digitale a un costo praticamente nullo. In parte è già ciò che avviene con le monete complementari di seconda generazione che non sono soggette – come il Bitcoin – a limiti di emissioni, con l’effetto di generare attività speculativa. Sono numerose le monete complementari “new entry”. Ultima, in ordine di tempo, la moneta annunciata da Facebook, “Libra”. La maggior parte di queste cripto monete o monete digitali utilizzano la tecnologia blockchain, con diverse livelli di gerarchia interna. Ad esempio, stando all’annuncio di Zuckerberg, la moneta Libra diventerebbe una moneta effettivamente peer-to-peer solo tra cinque anni (se la promessa verrà mantenuta, cosa di cui dubitare). Nel frattempo, la sua governance viene svolta da un associazione che raccoglie partner di varia natura, a metà tra il profit e il no-profit[1].
La quasi totalità delle monete complementari possono essere definite “moneta merce”, ovvero svolgono funzioni di fluidificazione dello scambio, senza intaccare le gerarchie del medesimo. La moneta viene vista esclusivamente con mezzo di scambio e unità di conto. Anche Libra non sfugge a questo destino, anzi lo rafforza, intervenendo anche nell’intermediazione finanziaria e nel transfer di denaro, probabilmente a costi più bassi e più competitivi delle tradizionali banche. L’intento è assai chiaro: lungi dal rappresentare un’alternativa al mercato bancario, la moneta di Facebook diventa strumento di transazione monetaria e di raccolta di dati (network value) che si aggiungono a quelli già manipolabili tratti dal social media.
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In questo contesto, la proposta della Lega di utilizzare titoli di stato di taglio minore per il pagamento dei debiti della Pubblicazione Amministrazione verso imprese private (State to business) non modifica affatto il quadro descritto. I Minibot non sarebbero altro che l’emissione di un nuovo tipo di titolo di Stato che allo stato attuale delle cose non farebbe altro che aumentare il debito pubblico italiano. Se si propone di non considerare tale emissione come nuovo debito, allora i Minibot dovrebbero potrebbero essere intese come una sorta di moneta complementare.
Ma la moneta complementare è tale se non è espressa in Euro. E i Minibot non hanno questa caratteristica essenziale. La loro diversità sta solo nel fatto che verrebbero emessi, sempre in Euro, dallo Stato Italiano e non dalla Bce, violando in modo palese il Trattato di Maastricht e quindi implicando una possibile uscita dall’Eurozona. E infatti, chi propone i Minibot, il responsabile economico della Lega, Claudio Borghi, ha sempre pubblicamente espresso questa opinione trovando tuttavia l’opposizione del segretario nazionale Salvini (vedi qui).e di tutti gli altri leader di governo.
E quindi evidente che la proposta dei Minibot è l’ennesima bufala demagogica.
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Tuttavia, può esistere una proposta di rifinanziamento del debito pubblico alternativa alle politiche di austerity. E senza il ritorno al sovranismo monetario ciò è possibile, proprio utilizzando le monete complementari.
Tale proposta che, come illustreremo brevemente, è tanto più valida tanto più oggi i vincoli sul bilancio pubblico italiano riguardano non solo il rapporto deficit/Pil ma il rapporto, assai più ingestibile, debito/Pil.
Il rischio di una procedura d’infrazione riguarda infatti l’eccessivo debito e non l’eccessivo deficit. Sembra che neanche il governo si sia reso cono di tale cambiamento strategico della Commissione Europea. Il punto è il seguente. Sino alla scorsa finanziaria, il parametro di riferimento era il rapporto deficit/Pil, che non doveva sforare l’1,7%, secondo gli accordi intrapresi con il precedente governo Renzi-Gentiloni. Il limite del trattato di Maastricht, come è noto, è il 3% e solo lo sforamento di questo limite può giustificare una procedura di infrazione contro l’Italia. Il contenzioso tra l’1,7% chiesto dalla troika europea e il 2,4% proposto dal governo Conte nel 2018 riguardava quindi non lo sforamento di un parametro ma la definizione di un percorso di rientro di medio termine del rapporto debito/pubblico, che dal 132% avrebbe dovuto ridursi progressivamente a livelli più basi nei prossimi 20 anni. La mediazione, come ricordiamo, si è attestata sul 2,04%, a patto che le stime di crescita economica venissero rispettate. A metà 2019, sappiamo che tali stime sono state rivedute fortemente al ribasso (dall’1,2% allo 0,2). La risposta della Commissione Economica non è stata un richiamo al mantenimento dei patti (già in parte garantiti dall’aumento automatico dell’Iva grazie appunto alla clausola di salvaguarda (del patto) ma la minaccia di una procedura d’infrazione non per aver violato il parametro deficit/Pil ma il parametro debito/Pil (60%). Parametro che dalla fondazione dell’Euro, l’Italia ha sempre necessariamente violato.
Nel 2011, in piena crisi dei debito sovrani, la Commissione Europea per imporre l’inasprimento delle politiche di austerity (soprattutto nei confronti della ribelle Grecia), ha varato un nuova norma, secondo la quale gli Stati che presentano un rapporto debito/Pil superiore al 60% (il limite sancito a Maastricht) si impegnavano a ridurre ogni anno di 1/20 la differenza tra il loro rapporto debito pubblico/Pil e il limite del 60%. Tradotto in soldoni, poiché il gap del debito/Pil dell’Italia è pari a 62 punti (132% – 60%), ciò significa che il sentiero di riduzione del debito pubblico deve prevedere ogni anno per 20 anni un intervento pari al 3,1% del Pil, cioè pari a 54,3 miliardi (nel 2018 il Pil ai prezzi di mercato è stato di 1.753 miliardi di Euro).
Si tratta di un obiettivo del tutto irrealizzabile che richiederebbe una politica lacrime e sangue neanche immaginabile.
Tenendo conto di tutto questo, le velleità del governo di impedire l’aumento dell’Iva (costo 24 miliardi) e contemporaneamente introdurre la flat tax (costo 30 miliardi) mostrano che si tratta, è il caso di dirlo, di retorica populista di bassa lega!
La stessa Commissione Europea è perfettamente conscia che la riduzione annua del debito pubblico di 3,1 punti sia una proposta impraticabile per l’Italia e per la stessa Europa ma questo impegno, sottoscritto da tutti i paesi (Italia compresa), viene usato come grimaldello per imporre maggiori politiche di austerità e consente che ci siano i margini giuridici per imporre la procedura di infrazione.
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La questione è quindi squisitamente politica. Ed è su tale fronte che occorre trovare una risposta praticabile e coerente. Non è certo sulle parole demagogiche di Salvini, sulla non autorevolezza dell’Europa o sul vento del sovranismo che sta montando che è possibile edificare modifiche alla situazione.
L’unica possibilità per allargare le maglie strette dei vincoli europei quella di creare un secondo bilancio pubblico che non sia controllabile dalle oligarchie economiche europee. E ciò non può essere fatto a livello nazionale, altrimenti si creerebbe una doppia moneta che non è ammissibile nell’architettura dell’Euro, bensì a livello territoriale e ancor più a livello municipale, per quanta riguarda l’erogazione di quei servizi pubblici e quelle entrate fiscali che si declinano a un livello più locale.
La possibilità di creare circuiti monetari alternativi per soddisfare una domanda di servizi inevasa o per migliorare un’offerta già esistente su base territoriale non è un’utopia. Si tratta semplicemente di un meccanismo di sussidiarietà per quanto riguarda la gestione del welfare che sia aggiuntivo e non sostitutivo. Se oggi, a causa di vincoli di bilancio sempre più stretti, i welfare municipali e regionali sono sempre più esternalizzati a società private, in base ad un distorto principio di sussidiarietà che favorisce la privatizzazione (e la finanziarizzazione) dei servizi sociali e non il suo ampliamento e/o miglioramento, è possibile creare un bilancio parallelo in una moneta complementare che consente di finanziarie a livello municipale forme di assistenza e integrazione ai migranti (la moneta di Riace), di erogazione di reddito e indiretto, servizi di trasporto (reperendo risorse che possono impedire l’aumento delle tariffe, vedi Milano), ecc. e a livello regionale servizi di integrazione alla sanità.
Questa costruzione sarebbe, inoltre, – come ci ricorda Massimo Amato nell’articolo citato – nello spirito della costruzione europea, che si fonda sulla solidarietà e sulla sussidiarietà. È certamente nello spirito del programma europeo DigiPay4Growth, finalizzato a “dimostrare l’uso di Cyclos [2] in 3 progetti pilota (Catalogna, Sardegna e Bristol) in tre diversi ambienti di progetto nel mercato europeo. I progetti pilota illustrano le varie possibilità di Cyclos per a) condizionare i flussi di potere d’acquisto per aumentare l’effetto moltiplicatore e quindi creare reddito e più posti di lavoro e b) creare un fondo innovativo di garanzia del credito per il credito reciproco alle PMI”.
Tale progetto Europeo è finalizzato essenzialmente a contrastare la crisi di liquidità dovuta al razionamento del credito negli anni della crisi, perdurante ancora oggi, con riferimento al mondo delle imprese. Parliamo in questo caso dell’istituzione di una moneta complementare su base territoriale “business to business”[3].
Ciò che invece proponiamo in questa sede è l’utilizzo di moneta complementare per contrastare i vincoli di bilancio pubblico imposti dall’austerity europea: una moneta complementare che viene immessa a livello territoriale per definire un bilancio pubblico alternativo a quello in euro in grado di svolgere una funzione in parte sostitutiva di alcune spese sociali che vengono privatizzate e/o eliminate e in parte aggiuntiva per far sì che tali servizi rimangano comunque in mano alla collettività. Di fatto si creano nuove risorse in grado di finanziare una riforma del welfare (Commonfare) adeguato a quelle che sono le sfide di oggi. Moneta credito e non solo moneta merce. La moneta complementare può così diventare moneta a tutti gli effetti alternativa.
NOTE
[1] Il progetto di Mark Zuckerberg vede la partecipazione non a caso di Visa, Mastercard, Paypal, Uber, Booking, Stripe, Mercado Libre, Spotify, Vodafone, Iliad, eBay, Farfetch, Andreessen Horowitz e ancora Xapo e Coinbase. Ognuno di loro investirà 10 milioni di dollari, così da far da garanzia alla moneta attraverso la Lybra Foundation, un consorzio che non dipenderà da nessuno ma sarà gestito da Facebook e a cui hanno già aderito molte associazioni no profit, giusto per presentare la faccia pulita dell’ipocrisia americana. Leggi qui.
[2] Per Cyclos si intende un software open source per online banking adatto per istituzioni di microfinanza, banche locali e regionali e sistemi di moneta alternativa come LETS, reti di baratto e banca del tempo
[3] Si tratta di una soluzione sicuramente più praticabile ed efficiente anche per pagare i debiti dell’amministrazione Pubblica. Vedi qui