L’assenteismo come risposta al regime lavorativo del porto


di ELISABETTA DELLA CORTE (in Sudcomune, agosto 2019)


Il commissario straordinario dell’Autorità portuale di Gioia Tauro, Andrea Agostinelli, ha sentito il bisogno, negli ultimi giorni di luglio, di richiamare l’attenzione sull’assenteismo nello scalo gioiese: L’Ansa ha riportato in un comunicato le sue dichiarazioni: “il 47% delle forza lavoro è assente dai turni per malattia, congedi parentali o ferie e sui circa 1200 portuali in servizio ben 293 sono inabili a svolgere alcune mansioni. Una follia. Così l’accompagnamento alla ripresa dello scalo potrebbe essere vana. Per mesi ho ascoltato gli sfoghi di che chiedeva lavoro e oggi lo rifiuta” (1).

Secondo il commissario questo alto tasso d’assenteismo  e la bassa produttività dei portuali gioiesi rischia di far fallire il rilancio del porto, dopo il passaggio di mano tra due colossi del commercio via mare, da MCT alla ‘’promettente’’ nuova gestione di MSC. Il metro di paragone usato dal commissario per valutare la produttività è quello dei portuali di Valencia, che riescono a muovere 36 container per ora a fronte dei 22 di Gioia Tauro. Guarda caso però, forse questo è sfuggito al commissario, i portuali di Valencia hanno stipendi più alti, condizioni di lavoro migliori, e un maggiore potere contrattuale; dovuto anche alla tenacia con cui perseguono gli obiettivi delle loro lotte. Così come dimostra la storia recente e quella passata, quel ‘’No un paso atras’’ , lo slogan delle lotte, non è stato solo un auspicio, infatti, negli ultimi anni,  per decine di giorni, hanno bloccato i porti  spagnoli per contrastare la svolta neoliberista. 

Questo sembra suggerire che prima di calcolare la produttività in termini di container movimentati per ora, supponendo così che ogni porto sia uguale all’altro, si dovrebbero considerare più fattori, allargando lo sguardo – attitudine questa che sembra oramai fuori moda oggi, nel mondo della comunicazione veloce e della post–verità. In questo caso, è semplicistico far dipendere la crisi, certo non recente, del porto dal comportamento dei lavoratori che si assentano, magari proprio quando hanno il diritto di andare in ferie, o di chiedere congedi parentali o per malattia, e non, ad esempio, dagli errori di gestione delle risorse umane, dall’insostenibilità dei carichi di lavoro, dai turni che sfasano per l’alterazione dei ritmi circadiani; come accade, ad esempio, dopo cinque notti di seguito al lavoro.  

E’ opportuno ricordare che gli operai di cui si parla sono gli stessi che pochi anni fa venivano lodati per i record raggiunti a Gioia Tauro, in quello che veniva chiamato il ‘’porto dei miracoli’’, dove  dei ‘’miracolosi’’ portuali calabresi venivano pagati meno e obbligati, a differenza dei loro colleghi del nord d’Italia o inglesi e spagnoli, a lavorare a ritmi serrati, per molte ore continuate, senza alternanza dal mezzo al piazzale, senza il tempo necessario per scendere dalla gru ed  usare il bagno.  

Il 47% è una defezione significativa, ma di per se questo dato non ci dice quanti sono stati i lavoratori assenti per ferie, permessi, malattie, disaffezione. Ci sono poi – è sempre Agostinelli a farcelo sapere (2) – 293 persone debilitate e quindi inabili a svolgere delle mansioni; e qui si aprono una serie di questioni sulle condizioni di lavoro e gli effetti sulla salute ampiamente studiate e dibattute- per chi volesse approfondire la conoscenza del fenomeno, sono centinaia gli articoli scientifici sul tema (3) – a cui si sommano alcuni testi che restano, quasi come pietre miliari, per affrontare, in modo meno ingenuo, la questione dell’assenteismo così come quella dello sfruttamento intensivo ed estensivo dei lavoratori portuali che, ironia della sorte- in tempo di post-verità tutto può accadere – vengono presentati come dei fannulloni, impegnati in un lavoro non troppo faticoso perché meccanizzato o automatizzato. E’ chiaro che chi ne parla, banalmente, non è mai salita/o su una gru e non ha mai movimentato container; ma al di là delle lacunose conoscenze empiriche, per fortuna non mancano ricerche sulle malattie professionali di questa mano d’opera che si ritrova a svolgere un lavoro usurante e a doverne fronteggiare i danni, senza che questi vengano neppure riconosciuti. Per dirlo in modo più semplice e chiaro, chi si assenta dal lavoro e chi non può più ricoprire delle mansioni spesso lo fa perché ha, non solo metaforicamente, le ossa rotte o l’umore depresso -per la perdita costante di sonno e la necessità di mantenere la concentrazione alta per movimentare container- un piccolo errore può essere fatale. Aspetti, questi, che le ricerche di medicina del lavoro hanno più volte evidenziato.  Ora se le cose stanno così, allora ci si aspetterebbe la convocazione di una nuova assemblea pubblica per discutere, questa volta, dei danni fisici e psichici subiti dai lavoratori, come prima emergenza che deriva dall’attuale regime di sfruttamento nella piana gioiese. 

C’è un bel video, ‘’La prima pietra’’, a cura di Nicola Orso (qui il link (4) che racconta la storia recente della piana gioiese – molti lo avranno già visto e se non fosse così, consigliamo di vederlo. E’ un documento prezioso per comprendere la storia dell’industrializzazione della piana, gli interessi in campo, la politica della Cassa per il Mezzogiorno, la retorica sviluppista della vecchia Democrazia Cristiana.  La storia ha inizio con la visita nella piana, nel 1975, di Giulio Andreotti (allora Ministro del bilancio e della programmazione economica), per la posa della prima pietra, e l’avvio dei lavori di adeguamento infrastrutturale per la costruzione del V polo siderurgico. Per fortuna il progetto fallì e Gioia Tauro non diventò, come Taranto, una città assediata dai veleni emessi dalle ciminiere; tuttavia rimasero chilometri di banchina, quintali di cemento, un paesaggio, oramai, irreversibilmente segnato. Ebbene, quel video riprende il discorso comiziale di Giulio Andreotti, con le autorità e parte degli abitanti, proprio tra le rovine di quel grande dissesto ambientale; tra olivi secolari sradicati, aranceti spazzati via dai mezzi di movimentazione. Andreotti ricorda che 75 miliardi sono stati accantonati e saranno spesi per i lavori; e poi elogia la scelta della produzione siderurgica a Taranto, rimarca l’importante opera del porto industriale di Gioia Tauro, il progetto speciale della Cassa per il Mezzogiorno per Gioia Tauro centro siderurgico e per tutte le industrie che sarebbero arrivate; e, infatti, prevedeva, ottimisticamente, che proprio questo progetto ‘’distruttivo’’ avrebbe potuto dare una ‘’spinta all’agricoltura e al turismo’’.  Era il 25 aprile del 1975, l’anniversario della Liberazione, e da abile retore Andreotti, in quell’occasione, sostiene che la sconfitta del fascismo e la fine della guerra deve ricordarci che bisogna sradicare la violenza e radicare la giustizia, in nome del meridionalismo attivo per un futuro democratico. Il video restituisce molte immagini dello scempio ambientale, con la voce di Andreotti in sottofondo che rilancia la rappresentazione di una regione afflitta che si apre all’arrivo dell’industria pesante, come grimaldello dello sviluppo. Sono passati alcuni decenni da allora e l’area industriale di Gioia Tauro non è mai veramente decollata – molti i capannoni vuoti e i fondi pubblici investiti senza raggiungere gli obiettivi prefissati. Tra i beneficiari di questo fiume di soldi per il famoso sviluppo anche molti imprenditori del nord che hanno sposato la logica del ‘’prendi i soldi e scappa’’. Milioni di euro sono stati stanziati, anche negli ultimi anni, per la realizzazione di grandi opere (5), senza che si sollevassero grandi discussioni sull’impatto ambientale, sulla logica stessa degli interventi programmati, ad esempio la Zes, e sui reali vantaggi di questo modello di sviluppo.   

A distanza di anni, quindi, quello che più sorprende è che dinanzi a danni così evidenti, sulle persone e l’ambiente, ci si meravigli solo per l’assenteismo della mano d’opera, distogliendo lo sguardo dalle scelte manageriali, e da quella che oggi viene chiamata, in modo soft,  ‘gestione delle risorse umane’, anche  se di umano, ad ascoltare le storie di chi lavora, c’è veramente ben poco.  



NOTE

(1)https://www.ansa.it/mare/notizie/portielogistica/news/2019/07/31/portigioia-t.-commissariocon-assenteismo-a-rischio-futuro_09d2a010-76f0-4779-bb12-0af0acbc0fed.html

(2)https://www.ansa.it/mare/notizie/portielogistica/news/2019/07/31/portigioia-t.-commissariocon-assenteismo-a-rischio-futuro_09d2a010-76f0-4779-bb12-0af0acbc0fed.html

(3)https://www.cambridge.org/core/journals/psychologicalmedicine/article/highrisk-occupations-for-suicide/54A4B47755BFB5289720433E05672FC6

Morris Greenberg, (Maggio 2004) The doctors and the dockers- https://doi.org/10.1002/ajim.20011

Angel, P., & Cannella, A. (2004). Executive Turnover Revisited From an Efficiency Wage Perspective. The Journal of the Iberoamerican Academy of Management, 2(1), 7-23. 

Locke, E. (1976). The nature and causes of Job Satisfaction. In Dunnette, M. D. (Ed.), Handbook of organizational and industrial psychology. Chicago. Rand. Mc. Nally. 

(4) https://www.youtube.com/watch?v=5UYKTCBthdg

(5)http://www.portodigioiatauro.it/files/PDF/Relazione%20annuale/Relazione%202016.pdf