di FEDERICO CHICCHI (in effimera.org,gennaio 2018)
Potrebbe sembrare forse azzardato, ma credo sia possibile sostenere che non esiste un solo e unico modo per descrivere il capitalismo. Non intendo in generale, altrimenti sarebbe ovvio, ma anche quando condividiamo, per linee generali, una prospettiva che voglia dirsi autenticamente marxiana. In altre parole, anche se partissimo da uno stesso paradigma molti sarebbero gli elementi teorici che possono, a tal fine, essere selezionati a scapito di altri. Il problema deve allora essere collocato a un altro livello: la questione in gioco non è infatti quella di riuscire a costruire uno schema teorico coerente e accurato sul funzionamento del capitalismo, ma accordare quella stessa astrazione teorica in modo che sia in grado di determinare una trasformazione della realtà capitalistica stessa. Economia politica del comune (DeriveApprodi, 2017) l’ultimo libro di Andrea Fumagalli, lavora alla perfezione dentro questa tensione irrinunciabile. Nel testo si dispongono infatti, in modo sinergico, diversi strati di riflessioni che spostano continuamente in avanti l’analisi teorica fino a portarla al cospetto della prassi – e in modo ancor più prezioso, quest’ultima (la riflessione sulla pratica politica) segue contemporaneamente l’andamento inverso. L’organizzazione stessa del volume, il suo indice, ci dice qualcosa di questa sua prima e fondamentale qualità metodologica.
Nel libro la riflessione sulle modalità attraverso cui il capitalismo contemporaneo, diversamente dal passato industriale, organizza l’estrazione del valore e lo sfruttamento precede, significandola – permettendo cioè di capirne l’emergenza e l’attuale rilevanza – l’analisi dei processi di finanziarizzazione dell’economia, della crisi dei sistemi di welfare nazionali, del lavoro precario come condizione generale del mondo del lavoro postfordista e soprattutto del comune inteso come modo di produzione. Tali analisi sono poi tutte considerate nella visuale della necessità di ripensare il conflitto e i diversi dispositivi di lotta dentro e contro il nuovo capitalismo. L’orizzonte del comune (comune scritto rigorosamente al singolare) allora, tra le pagine del libro riprende fiato, profondità e fisionomia, dentro a quello che Fumagalli definisce Welfare del comune (Commonfare), questione molto articolata e complessa, certamente non scevra da insidie, a cui l’autore dedica, con accuratezza, l’ultima e più avvincente sezione del libro.
Al di là del mood e dei contenuti che compongono il testo, occorre però precisare lo sfondo sopra il quale, a mio avviso, questi poi si dispiegano. In proposito, si parla di come il capitalismo si produca in ragione di uno squilibrio strutturale cui aderisce intrinsecamente, di cui non può fare a meno e che deve essere continuamente e ripetutamente tradotto e poi misurato in una quota eccedente di valore proprietario. Si parla dei sottili ma profondi interstizi della crisi attuale di questa misura che impatta, gerarchizzandola, sulla vita. In altre parole si parla del sintomo del capitalismo e del sintomo del capitalismo che è il plusvalore. Il plusvalore è ciò che incarna la trasformazione del denaro in capitale. Il capitalismo per realizzare una quota sufficiente di plusvalore, necessario alla sua riproduzione economica e sociale, deve, dunque e non può farne a meno, esercitare un’azione di estorsione, di rapina, del valore, via sfruttamento. Dove c’è sfruttamento c’è capitalismo si potrebbe dire. Sì! Se non fosse che lo sfruttamento non riguarda e non specifica solo questo tipo di rapporto sociale. “Il capitale non ha inventato il pluslavoro”, come precisa Marx nella sua opera fondamentale (Marx, 1970, p. 255). Quello che il capitalismo avvera in modo peculiare, inaugurando una nuova epoca dei rapporti sociali, è uno sfruttamento che a differenza del passato si basa sull’inganno dello scambio, uno sfruttamento mediato dal valore. Lo sfruttamento insomma nel capitalismo è “nascosto sotto il rapporto di scambio” (Napoleoni, 1972, p. 141) e non è immediatamente riconoscibile come nelle epoche precedenti, quelle di tipo precapitalistico. “Soltanto l’analisi riesce a scoprire che in realtà le cose stanno come stavano prima, dal punto di vista, cioè, del rapporto essenziale tra le due classi, in quanto, ripeto, una vive sul lavoro necessario e un’altra vive sul pluslavoro” (Ivi, p. 142).
Il libro di Fumagalli tenta allora di costruire (senza ovviamente avere la presunzione di portarla a compimento) un’analisi che ha l’urgente obiettivo di mostrare il modo in cui lo sfruttamento resta, oggi più di prima, al centro del funzionamento del sistema capitalistico. Parla, in altri termini, del modo in cui oggi il capitalismo prende in ostaggio il comune, ciò che è condiviso e cooperante, per poter garantire la ripetizione del godimento del suo sintomo: l’allargamento continuo e sistematico del valore (di scambio). “Impulso illimitato e smisurato ad oltrepassare i suoi ostacoli. Ogni limite è e deve essere per esso un ostacolo. Altrimenti esso cesserebbe di essere capitale”.
Il capitale è indifferenza ai bisogni, è crescita illimitata e irrefrenabile. Ecco la formulazione, di preveggente assonanza deleuziana, che nei Grundrisse (a p. 330) Marx, come al suo solito con straordinario acume, ci consegna. Il problema è che questa mistificazione, l’inganno perpetuato dal possessore del denaro nei confronti del proletario “formalmente libero”, porta il soggetto a credere – magari anche solo per un momento – che sia possibile realizzarsi nonostante, se non addirittura attraverso, lo sfruttamento. Potremmo dire, per quanto riguarda la fase industriale e fordista, che il soggetto si realizza nell’accettazione che il suo destino sia nel lavoro salariato, oppure oggi, nel capitalismo neoliberale, nella forma di quanto, seguendo la retorica manageriale, si chiama impresa di sé e capitale umano. L’insidia dello sfruttamento capitalistico è cioè scritta nella sua funzione normativa, non solo interdittiva ma anche sollecitativa. Questo stesso inganno, perpetuato in nome del plusvalore, diventa, effettivamente, quello spazio tensivo di soggettivazione che, dentro il farsi oggi sempre meno teso del campo di battaglia degli interessi, si precisa e circoscrive. E questo, se da un lato è un problema, dall’altro indica come lo sfruttamento capitalistico abbia anche sempre a che fare con la produzione sociale di una ingiunzione surrettizia alla produzione del valore e di una adesione immaginaria alla sua logica di fondo (imprinting) (Cfr. Chicchi, Lucarelli, Leonardi, 2016).
Instaurare quindi uno specifico ed adeguato rapporto sociale di produzione, capace di risolvere il problema della accumulazione e della realizzazione del valore, è la “preoccupazione” che deve fin da subito e poi continuamente affrontare il capitalismo. Per dirla in modo diverso ma equivalente: adeguare, o ancora meglio, produrre soggettività in modo che questa agisca in modo conseguente o consustanziale all’imperativo della prestazione accumulativa proprietaria. I diversi modi in cui tale “soluzione” si viene a configurare, storicamente e logicamente, mostrano allora l’evidenza di una forma sociale (e istituzionale) del modo di produzione capitalistico in continua trasformazione (organismo in continua trasformazione direbbe Marx), cui corrispondono regimi di accumulazione differenti. Christian Marazzi ci ha mostrato come “muovendo da questo squilibrio strutturale possiamo spiegare storicamente lo sviluppo, così come le grandi crisi del capitalismo” (Marazzi, 2016, p.62).
Ecco che allora il libro di Andrea Fumagalli assume su di sé, fino in fondo, la responsabilità teorica e politica di un tale compito: interrompere questo destino, costruire una teoria e una pratica di lotta adeguate al presente, capaci tanto di palesare l’inganno dello sfruttamento (così come oggi si presenta nelle sue nuove trame), quanto di contrastare la violenza che il capitalismo contemporaneo produce ogni giorno sui nostri corpi. Nel capitalismo, che l’autore definisce – seguendo senza indugi il solco del neo-operaismo – con il convincente termine di capitalismo biopolitico e cognitivo, “la sfida riguarda, in particolare, due esigenze, o meglio due problematiche, tutte interne alla dialettica del capitalismo bio-cognitivo: la riformulazione di una teoria del valore-lavoro adeguata al fatto che il lavoro oggi coincide con la vita, da un lato e la definizione di ciò che oggi determina e definisce l’unità di misura del valore, ovvero, in altri termini, la struttura gerarchica del dominio del capitale sul lavoro, dall’altro” (p. 95). A questo riguardo sono due i processi fondamentali che a mio avviso devono essere tenuti ben presenti per fondare e seguire il ragionamento dell’autore.
Il primo riguarda la considerazione della centralità crescente della finanza nel determinare le quote di valore necessarie a sostenere oggi il processo di accumulazione: è “la finanza che definisce l’ambito stesso della valorizzazione” (p. 138). La finanza è il modo in cui oggi si produce, per la maggior parte, il realizzo del capitale. Il farsi rendita del profitto dunque, ma soprattutto l’imprimere una misura proprietaria sulla nuova e diffusa attività di produzione sociale di ricchezza, che la società delle reti diffuse e dei saperi rende disponibile. Il sapere che si propaga nelle reti, il generale intellect, per usare ancora il lessico di Marx, diventa economicamente strategico, ovvero “base del processo di accumulazione e valorizzazione bio-capitalistico” (p. 63), e il capitalismo deve controllarlo e indirizzarlo se vuole “risolversi”. Questo è un passaggio nodale del ragionamento. Facendoci ancora una volta aiutare da Marazzi potremmo dire che “il capitalismo finanziario è cresciuto captando beni comuni, il comune” (Marazzi, 2016, p. 71). Significa che “nel momento in cui il comune diventa modo di produzione, esso è anche fattore di valorizzazione e quindi luogo precipuo del processo di sussunzione e sfruttamento” (Fumagalli 2017, p. 95). E ancora: “la finanziarizzazione ha modificato il meccanismo della valorizzazione e la sua struttura gerarchica” (p. 156). Il rapporto tra lavoro (forza-lavoro) e capitale viene a rideterminarsi – e le geografie economiche e sociali dove la cattura del valore ha luogo assumono morfologie inedite ancora in gran parte da precisare e inchiestare.
Comprendere come lo sfruttamento funzioni e determini i suoi nuovi dispositivi, alla luce delle recenti trasformazioni in senso postfordista è, lo ribadisco, la posta in gioco teorica e politica di questo volume. Dobbiamo soffermarci quindi su questo punto, introducendo anche il concetto di sussunzione vitale, qui proposto per la prima volta dall’autore in modo sistematico. Se il rapporto sociale di fabbrica aveva caratterizzato il modo in cui lo sfruttamento e l’accumulazione si determinavano, “oggi la base della valorizzazione e il luogo dello sfruttamento sono la cooperazione e la riproduzione sociale”. Le relazioni sociali e le loro pratiche di condivisione divengono immediatamente prolifiche di valore, non solo cioè utili in “seconda battuta” alla rigenerazione delle forze di lavoro, ma qualità fondamentali immediatamente chiamate in causa nella cooperazione sociale produttiva e nella relazione di servizio tra imprese, lavoratori e consumatori. Nel momento in cui la prestazione oggi richiesta si estende al di là della pratica di lavorazione “operazionale”, esondando (anche grazie alle nuove tecnologie digitali di tracciabilità) da un lato nel tempo di vita e invadendo, dall’altro, ogni qualità affettiva ed estetica della soggettività – “linguaggio, comunicazione e riproduzione sociale diventano il motore della valorizzazione” (p. 118). Uno degli esiti più rilevanti del consumarsi e farsi poroso del confine tra produzione e riproduzione sociale è che le forme dello sfruttamento oggi si moltiplicano: al dualismo marxiano della sussunzione formale (monetaria e giuridica) e reale (materiale) occorre allora aggiungere, nel capitalismo bio-cognitivo, una modalità sussuntoria inedita che insiste direttamente sulla vita (e sulle sue qualità valorizzanti) e si forma come una sorta di ibrido delle prime due forme, la sussunzione vitale.
Il secondo punto da ricordare nell’economia complessiva del testo è forse ancor più rilevante del primo, nel senso che porta con sé conseguenze non ancor facilmente determinabili. Esso ha direttamente a che fare con il progressivo imbrogliarsi, nel rapporto sociale di produzione, dei confini tra capitale costante e capitale variabile, o meglio ha a che fare con il confondersi dell’elemento tecnologico e macchinico delle produzione con l’elemento “vivo” e cooperativo della soggettività. Il concetto di sussunzione vitale infatti si evidenzia e precisa proprio a partire da questo progressivo venir meno della tradizionale e rigida separazione industriale, tra umano e macchinico. “È questa ibridazione che è alla base del concetto di capitalismo bio-cognitivo: un concetto del tutto materiale, che nulla ha di etereo o sganciato dalla realtà dei corpi, ma che si incarna proprio nella messa in produzione delle facoltà di vita dei corpi e della loro trasformazione in parti meccaniche e/o in processi di mercificazione” (p.218). Se nell’economia industriale, “l’attivazione produttiva della sua forza-lavoro diventerà possibile solo dal momento in cui a seguito della sua vendita, essa verrà messa in collegamento con i mezzi di produzione” (Marx, 1970 Libro II, p. 37), nel capitalismo bio-cognitivo e postfordista questa condizione di valorizzazione assume nuove e maggiormente intricate determinazioni. Come aveva già intuito Foucault nel suo celeberrimo seminario La nascita della biopolitica le trasformazioni in senso neoliberale dell’economia capitalistica promuovono la nascita di un modello di sviluppo antropogenetico e un nuovo modello di “lavoro”, dove di fatto l’elemento macchinico dell’azione di produzione non è più separabile dalla soggettività stessa. Attenzione però! L’ibridazione non si pone solamente sul piano delle applicazioni tecnologiche uomo-macchina di nuova generazione, e quindi rispetto alla trasformazione della composizione tecnica del lavoro (oggi alla ribalta con le applicazioni algoritmiche e con l’intelligenza artificiale), ma anche, direttamente, sulla qualità, potremmo dire logica delle relazioni sociali di produzione: “In altri termini, la competenza del lavoratore è una macchina, ma una macchina che non si può separare dal lavoratore in quanto tale, (…). Bisogna considerare che la competenza, che fa tutt’uno con il lavoratore, è in un certo senso l’aspetto per cui il lavoratore risulta una macchina” (Foucault, 2004, p. 185).
L’analisi del capitalismo contemporaneo che Andrea Fumagalli ci propone in questo testo – e che mi pare di poter dire segna un punto importante e rilevante dell’opera dell’autore – è, in conclusione, molto convincente, oltre che necessaria al fine di dotarci degli strumenti per affrontare le lotte che ci aspettano. “La costruzione di contro-biopotere necessita una nuova praxis. Una nuova praxis richiede oggi il coraggio della sperimentazione, una sperimentazione che deve possedere gli strumenti adeguati per far emergere il comune come metodo di produzione alternativo” (p. 230). Crediamo però che questo importante saggio possa realizzare la sua appena citata vocazione, solo se riusciremo a leggerlo e discuterlo assieme, a farlo circolare e penetrare, il più possibile nelle più diverse sedi, solo se riusciremo cioè a inserire le riflessioni qui contenute all’interno di in un nuovo e compositivo “metodo” di lotta e resistenza, almeno, perché no? Till the morning comes.
Riferimenti bibliografici
Chicchi Federico, Lucarelli Stefano, Leonardi Emanuele, Logiche dello sfruttamento. Oltre la dissoluzione del rapporto salariale, Ombre corte, Verona, 2016.
Foucault Michel, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979), Feltrinelli, Milano, 2005.
Fumagalli Andrea, Economia politica del comune. Sfruttamento e sussunzione nel capitalismo bio-cognitivo, DeriveApprodi, Roma, 2017.
Marazzi Christian, Che cos’è il plusvalore?, Casagrande, Ballinzona, 2016.
Marx Karl, Il Capitale, Libro I, trad. D. Cantimori, Editori Riuniti, Roma, 1970.
Marx Karl, Il Capitale, Libro II, trad. R. Panzieri, Editori Riuniti, Roma, 1970.
Marx Karl, Lineamenti fondamentali dell’economia politica, 2 volumi, trad. E. Grillo, La Nuova Italia, Firenze, 1968-1970.
Napoleoni Claudio, Lezioni sul capitolo sesto inedito di Marx, Boringhieri, Torino, 1972.