di TONI NEGRI (in Euronomade, dicembre 2019)
Erano 300.000 quando, un anno fa, cominciò il movimento dei gilets jaunes. Rivelò al potere che l’aveva dimenticata, un’altra Francia, quella delle periferie metropolitane disindustrializzate e dei grandi spazi del centro del paese privi di servizi ed il proletariato precario e pensionato che vi dimorava. La classe dirigente francese fu terrorizzata da quella scoperta. L’onda d’urto dello shock aveva scosso le strutture del potere e rivelato nello spazio aperto nel cuore del sistema una fonte di resistenza poderosa e fin qui considerata inerte. Dopo un mese circa, furono mollati 17 miliardi – una regalia della quale i gilets jaunes non mostrarono gratitudine – e poi fu aperto un “grande dibattito” attraverso il quale Macron tentò un recupero politico – pratica inevasa.
Dopo un anno dall’inizio della lotta, i gilets jaunes si sono ripresentati sulle strade di Francia. Almeno in 50.000, da quel che ne dicono i compagni: e c’è da crederci perché è un fatto che i ronds-points sono stati nuovamente popolati e le manifestazioni metropolitane sono ritornate ad essere episodi di lotta e di rottura a tutti visibili. Come hanno potuto, dopo un anno, essere ancora tanti? Ricordiamo i dati della repressione: 11 morti ammazzati, circa 4.500 accecati, feriti, storpiati, e 10.000 arresti, di cui un terzo condannati a più di un anno di carcere. E ogni settimana, per 53 volte, migliaia di poliziotti sulle piazze a seguire e ad attaccare i cortei, prima, durante e dopo il loro svolgimento. Mai un movimento è stato così duramente represso. Come hanno fatto i gilets jaunes ad esserci ancora? E che cosa sono diventati in questo anno di lotte?
Per rispondere è necessario insistere su un punto: in Francia i gilets jaunes hanno riportato alla luce la classe – la classe sociale sfruttata, la classe lavoratrice salariata in lotta. Certamente la lotta di classe non era scomparsa da questo paese, anzi si era frequentemente mostrata negli ultimi decenni, però quasi esclusivamente attraverso le istituzioni delegate alla lotta di classe: lavoratori sindacalizzati contro il potere padronale, economico, organizzato e unificato nei poteri dello Stato. La lotta di classe si svolgeva dentro questo rapporto. I gilets jaunes hanno interrotto il rito, fosse consuetudinario o strutturale, delle lotte sindacali – meglio, hanno mostrato la faccia interna della lotta di classe, hanno mostrato come il lavoratore ci stesse dentro. Se prima la lotta di classe la si vedeva proiettata su uno schermo, i gilets jaunes ora ci permettono di farne il film assieme a loro. Non riducendo la classe ad una identità – al contrario, in ogni momento esaltandone la potenza e la composizione delle differenze. I gilets jaunes hanno mostrato la classe in sé, privilegiandola all’immagine della lotta di classe per sé che le gazzette e le istituzioni (quelle stesse di sinistra, ormai) ci presentavano. Noi stessi parliamo troppo spesso di “lotta di classe” senza porre l’accento sul soggetto che la produce – ce ne dimentichiamo, come se la classe esistesse solo nel rapporto, fosse presente solo nel recitare sulla scena e non avesse invece bisogno di costruirsi sempre di nuovo e di presentarsi nella sua separatezza, nella sua differenza. Ci sono stati momenti nei quali era stato forse utile preferire la dialettica all’ontologia, anticipare Il Capitale ai Grundrisse. Ma la dialettica fa scomparire la classe in sé, ci concede solo quella in lotta, la classe per sé – trattenuta da un rapporto col nemico che la fa esistere. Ebbene no. Dobbiamo essere grati ai gilets jaunes di aver reintrodotto nella lotta di classe in Francia la coscienza che essere classe vuol dire prima di tutto rivolgersi su se stessi, lottare insieme e costruire insieme comune. Tutto ciò è indicato da una camiciola fosforescente gialla e interpretato da un rozzo grido “Macron démission”. Hanno tolto la lotta di classe all’ignoranza e all’astrazione che le istituzioni (di destra e di sinistra, padronali e corporative) avevano allestito e, per lunghi anni, gestito. I gilets jaunes ci hanno richiamato dentro la classe – per i vecchi è stato come riandare a Mirafiori o al Petrolchimico, riconoscere una classe che non solo lotta ma costruisce comune, agisce in comune.
Che cos’è un rond-point nella filosofia dei gilets jaunes? È un punto nello spazio della società mercificata, attraversato da diversi flussi produttivi, plurali, da varie articolazioni di valore. Nella società postindustriale, la valorizzazione attraversa la circolazione sul territorio. Qui l’occupazione dei ronds-points blocca la circolazione delle merci, attacca direttamente l’estrazione capitalistica del valore – ma soprattutto, nel rond-point, si costruisce la nuova forza di classe – nello stare assieme, nello studio e nel decidere le forme di organizzazione di lotta. Si mette assieme del comune contro la valorizzazione capitalista. La formula del rond-point risponde innanzitutto alla domanda: che cos’è la classe oggi? E risponde in forme del tutto nuove per la nostra generazione, senza ripetere vecchie definizioni. Paradossalmente, sembra che i compagni gilets jaunes lo dicano agli scienziati della politica che spesso avevano dimenticato (non era capitato anche a noi?) di che cosa fosse fatta la lotta di classe – fatica e dolore, lacrime e sangue, ma soprattutto la passione di stare insieme, la forza che se ne ricava, la gioia che costruire il comune porta con sé. Lo hanno detto a noi piuttosto che ai padroni, che quella potenza interna alla classe in sé non l’hanno mai misconosciuta o dimenticata: la polizia e le strutture dello Stato, la repressione, i giudici, ecc. sono la cosa che si oppone al contropotere che quell’in sé produce.
Che cosa son diventati i gilets jaunes? È difficile dirlo, ma dopo un anno di lotte si può cominciare a definire il loro ruolo sociale di produttori di lotta. Lo sono diventati a partire dal “tous ensemble”, dalla comunità che ne costituisce, come abbiamo visto, il nucleo di base. Una comunità? Certo, ma da non sottoporre a nessuna categoria del “comunitarismo”. Sono una comunità-macchina. Funzionano perlomeno in tre direzioni. Sono diventati, in primo luogo, un sindacato sociale, che agita il tema del “fine mese” in termini salariali e fiscali (perché la fiscalità massacra una classe lavoratrice divenuta sociale), che pone cioè il tema del “costo della vita” e di una pressione in difesa della massa salariale come compito fondamentale in tutti i settori del lavoro sociale. Mettere insieme le lotte e spezzare il dominio capitalista su un pacchetto omogeno di rivendicazioni, ecco all’opera i gilets jaunes sull’intero arco delle lotte sociali. In secondo luogo, il movimento dei gilets jaunes si è mostrato come un contropotere ecologico. La “fine del mondo”, per i gilets jaunes, entra come elemento del tutto complementare nel problema della “fine del mese”. Dalla nocività del lavoro alla fatica di essere poveri: tutto questo ormai lo si verifica sul terreno sociale – il capitale devasta in egual misura l’uomo e la natura. Cosa c’è di più ecologico del battersi contro le forze che sfruttandola distruggono l’umanità e la natura di cui essa vive? È assurdo che bisognasse uscire dal movimento operaio organizzato, dal sindacato per riconoscere come banale la domanda di uno sviluppo che non fracassasse la natura e il modo di vivere e quindi di circolare liberi nei boschi e sui mari di quel che resta di questo nostro mondo! Tutto ciò si accompagna a quel “riprendersi la politica”, a quel “riappropriarsela” che costituisce la forma dell’agire dei gilets jaunes, terzo punto caratteristico del loro muoversi. Sono infatti un movimento politico che attraversa il secolo, dando senso e significato, misura e tendenza, a tutti gli oggetti che tocca. Nell’orizzontalità di questo movimento, la radicale negazione di diventare Partito ed il ritorno della lotta di classe sono naturali e rispecchiano la nuova composizione tecnica del proletariato – si contrappongono alla nuova composizione politica dello sfruttamento: ecco la sigla del “politico” dei gilets jaunes.
Cui si aggiunge il tema della democrazia diretta come l’indicazione di un destino di “estinzione dello Stato” e formula di una costituente per un nuovo progetto istituzionale. Ogni dispositivo di rappresentanza è ormai delegittimato e vissuto come sorgente di corruzione. Ciò avvia la nostra democrazia rappresentativa a processi di rottura e disgregazione contro i quali la governamentalità capitalista, in forme inevitabilmente sempre più autoritarie, pretenderà di erigersi come potere salvifico. Qui i gilets jaunes sono già un contropotere adeguato con la loro insistenza strategica sulla democrazia diretta. Anche questa è un’altra banalità da noi dimenticata ed in specie distrutta dagli “autonomisti del politico” – che per esempio in Italia ne abbandonano tranquillamente il destino alle inique sperimentazioni dei 5Stelle – dimenticando che la democrazia diretta sta nel patrimonio genetico del movimento degli sfruttati e nell’immaginazione costituzionale dei soviet rivoluzionari – e che l’“estinzione dello Stato” non è una bugia raccontata da Lenin a dei bambini scemi… I gilets jaunes hanno riproposto la democrazia diretta come dignità della classe nel governarsi contro lo Stato. Abbiamo bisogno di un movimento siffatto in tutt’Europa.
In questo momento, i gilets jaunes trainano una forte spinta alla convergenza delle lotte. Finora non si era data che parzialmente. Per il 5 dicembre è invece proclamato uno sciopero (che può essere ogni giorno rinnovato dal voto della base) contro il progetto “pensioni” che Macron propone. Per ora, i ferrovieri e gli operai delle varie reti di trasporto urbano/metropolitane sono formalmente convocati a questa convergenza di lotta, ma sul terreno ospedaliero e su altri terreni essa è già aperta e condotta da “comitati di base”, ovunque si esercitino i tentativi macroniani di smantellamento dei sistemi di “salario differito”, del Welfare. È su questo terreno che misureremo il salto in avanti delle lotte nei prossimi mesi. Ed è questa convergenza programmata ed imposta dai gilets jaunes che ci permetterà di misurare l’avanzata del fronte di lotta. Macron vuol vincere e sulle pensioni va giù a muso duro. La resistenza, la lotta di classe che i gilets jaunes hanno reinventato, si presenta fin da ora estremamente decisa.
Ultimo punto – i gilets jaunes avanzano proposte, metodi di lotta, metodi di organizzazione che sono in linea con quanto avviene, in maniera rivoltosa, in molti paesi, dal Cile ad Hong Kong, attraverso tutto il mondo capitalista e non. I gilets jaunes, come dappertutto, sono un movimento intersezionale – che comprende militanti femmine e maschi, nonché gruppi di gilets noirs. La democrazia diretta che regge il modo di decidere dei gilets jaunes caratterizza anche le pratiche dei movimenti internazionali come leaderless, “senza leader”. E poi, come si diceva, il movimento ha anche uno spirito profondamente internazionalista. Rispetto, tuttavia, agli altri movimenti che dopo il 2011 e nell’ultimo anno si sono sviluppati, i gilets jaunes mostrano quell’aspetto del tutto singolare, quel nucleo interiore di soggettivazione e di performatività, quel pluralismo e quel rifiuto dell’identità, dell’individualismo e della corruzione che costituiscono un’arma decisiva nella lotta anticapitalista oggi. È un apparecchio magico che la storia della lotta di classe elabora e mette in corrispondenza con la crisi politica del neoliberalismo: per noi significa pensare che non c’è, fuori dal metodo gilet jaune, nessun’altra arma che possa battere Macron e il suo neoliberalismo aggressivo. Ce la faremo? Allarghiamo in Europa questa esperienza, impiantiamo nelle metropoli la forza della democrazia diretta, quella forma della “classe in sé” impossibile da recuperare alla dialettica dello Stato sovrano, patriarcale e capitalista.