Ci vuole un reddito. Ma quale?

di LUCA SANTINI (in Quaderni per il Reddito n. 3/2016; www.bin-italia.org)

Sudcomune vuole ricordare Luca Santini, prematuramente scomparso, con questo suo scritto apparso sui Quaderni del Reddito di Base del 2016.
Luca, Presidente del BIN Italia, sempre dalla parte dei più deboli e indifesi, è stato un ottimo avvocato, legale dell’INCA, fondatore del progetto Roma- Dakar e ideatore di decine di iniziative, progetti e mobilitazioni. Ci mancherà molto la sua intelligenza, il suo sorriso e il suo garbo. Continueremo sui suoi passi a lottare per un Reddito di base inteso come mezzo per l’autodeterminazione di chiunque. Ciao Luca, grazie per tutto quello che hai fatto e ci hai lasciato.

******

Mandiamo alle stampe e ai provider della pubblicazione elettronica questo “Quaderno del Reddito” muovendo da una ferma convinzione esplicitata sin dal titolo, che il dibattito circa la necessità di una misura di reddito garantito sia ormai maturo e ampiamente metabolizzato dall’opinione pubblica.
Fare la storia della rivendicazione che da lunga data si conduce in questo Paese per l’introduzione di una misura di garanzia del reddito, sarebbe lungo e complesso. Come minimo si dovrebbe rimontare agli anni in cui per la prima volta si è manifestato il protagonismo politico dei lavoratori precari, con tutto il loro portato di esperienze originali prima fra tutte quelle delle mayday. Ma in queste righe sarà sufficiente richiamare le due più recenti campagne “popolari” con le quali si è avanzata la richiesta di un profondo ripensamento del modo di condurre le politiche sociali: il riferimento va alla presentazione di un disegno di legge di iniziativa popolare, all’avvio della XVI Legislatura, corredato da circa 80.000 firme (con ilsostegno di 170 tra associazioni e partiti) e alla successiva campagna “dei cento giorni” capitanata dall’associazione Libera, con la quale circa centomila cittadini hanno ancora una volta sollecitato l’adozione in tempi certi di una misura di reddito garantito.
Sulla scia di queste ampie mobilitazioni il “tema reddito” si è imposto nell’agenda parlamentare e si è verificato il fatto del tutto inedito della calendarizzazione presso le competenti commissioni del Senato della discussione generale sui provvedimenti in materia di introduzione di un reddito minimo garantito. Decine di associazioni e di esperti sono stati ascoltati per fornire spunti interpretativi ed informazioni, preparando così il terreno all’opera di vera e propria legificazione.
A tutto ciò ha concorso obiettivamente anche il degradarsi della condizione sociale di ampie fasce di popolazione; mentre ci si approssima al decennale della “più grande recessione dopo quella del 1929” (ma siamo sicuri che la “nostra” crisi non finirà per guadagnarsi il primo posto in questa amara classifica?), appare sempre più insostenibile e ingiustificabile l’inazione su un tema tanto essenziale quale quello della garanzia dei mezzi vitali nei riguardi dei cittadini esposti al rischio di esclusione sociale.
La necessità del reddito è dunque condivisa da sempre più persone e decisori politici.
Tuttavia, mentre cisi avvicinava all’obiettivo,si è presentato sulla scena un soggetto antagonista, portatore di una visione per certi versi simile a quella dei fautori del reddito minimo garantito, ma per altri aspetti profondamente divergente e forse addirittura opposta. Negli ultimi tempi, parallelamente alle mobilitazioni popolari di cui si è detto, vi è stato un fiorire di proposte, talvolta ad opera di accademici (che hanno auspicato l’adozione di una misura designata come sostegno di inclusione attiva), altre volte da parte di enti e operatorisociali (è il caso del reddito di inclusione attiva), che non hanno mancato di suscitare l’attivo interessamento dell’attuale Dicastero del lavoro e delle politiche sociali, che proprio nel momento in cui stendiamo queste righe ha consegnato al parlamento un disegno di legge delega in tema di “contrasto alla povertà e riordino della prestazioni” assistenziali. Nello stesso tempo venivano approvati in Puglia e in Lombardia dei provvedimenti che riecheggiano nelle intitolazioni la legge 4/2009 della Regione Lazio che fu apripista in tema di “reddito garantito”, ma che ne se discostano in realtà profondamente in alcuni passaggi qualificanti.
Il fatto nuovo per questo Paese è dunque che si delinea un conflitto politico non più tra chi rivendica un reddito garantito e chisi rifiuta di concederlo, ma un conflitto sul terreno stesso del reddito. Sono cioè contrapposte diverse concezioni della tutela del reddito, che sottintendono per la verità visioni avverse su temi generali, come il modo di concepire la dignità dei cittadini o il ruolo dei diritti sociali nell’epoca della crisi e dell’accumulazione flessibile.
Perciò dopo la constatazione, la domanda. Un reddito è necessario, ma quale reddito?
E’ bene chiarirci su un punto: che venga definito reddito minimo, o garantito, o di dignità, o di inclusione poco importa, quello che conta è il contenuto e l’articolazione in concreto della misura. Come ci insegnano le esperienze europee in tema di reddito minimo, vi sono in simili dispositivi alcuni aspetti sensibili da cui dipende il volto del provvedimento, il suo carattere emancipatorio ovvero potenzialmente repressivo. Discutere se l’erogazione sia condizionata o meno e in quale misura, se la platea raggiunta sia abbastanza ampia o viceversa se sia circoscritta e in che modo e in base a quali parametri, stabilire quale sia l’ente gestore della erogazione e se risponda a criteri d’azione pubblicistici o privatistici, stabilire se l’intervento sia universalistico e capace dunque di riassorbire gran parte delle prestazioni assistenziali oggi disperse o se sia viceversa un sussidio particolare che si aggiunge ai dispositivi esistenti, tutto ciò non è affatto minutaglia da demandare ai tecnici. Al contrario si tratta di un discorso denso di contenuti politici, che è bene imparare a ri-articolare in questa nuova fase.
Quale reddito? Rispondere a questa domanda significa riscoprire le ragioni fondanti del reddito garantito, misura mai concepita come esclusivamente congiunturale e di contrasto alla fase recessiva, magari funzionale al mero rilancio dei consumi. Al contrario questa misura può essere un architrave per il progressivo sviluppo di un nuovo modello di società, fondato sul rispetto integrale della dignità e sulla valorizzazione della persona.
Un reddito compiutamente garantito, erogato a livello individuale, di ammontare adeguato, non sottoposto a vincoli stringenti di decadenza sarebbe il volano per il potenziamento del cittadino e delle attività che produce, sia come singolo sia nelle formazioni sociali in cuisi esprime al meglio la sua soggettività. Per dirla con André Gorzla funzione
del reddito garantito “è quella di fare del diritto allo sviluppo delle facoltà di ciascuno il diritto incondizionato ad un’autonomia che trascende la funzione produttiva”.
Il discorso sul reddito necessita indubbiamente di una riscoperta delle sue ragioni fondanti. Ciò appare necessario per contrastare un’idea coercitiva e compassionevole delle tutele sociali, che circola sempre più come moneta corrente e che trova riscontri in prese di posizione pubbliche, in progetti di riforma, perfino in testi legislativi. Quando il presidente della regione Puglia afferma che in cambio del “reddito di dignità” invierà “i disoccupati a potare i banani nelle scuole”, o quando alcune amministrazioni locali istituiscono il baratto amministrativo (ore di “volontariato” a carico di chi non riesce a pagare le tasse), o ancora quando si siglano a livello centrale degli accordi che prevedono l’inserimento coercitivo dei “poveri” in progetti gestiti dal terzo settore, è evidente che un modello comincia a dipanarsi.
E’ un modello che si propone di governare e addomesticare la parte di popolazione uscita sconfitta dalla crisi (precari, esodati, scoraggiati, ceti impoveriti) mediante l’erogazione di magri sussidi e lo svolgimento di attività para-lavorative in ruoli marginali; si tende all’istituzione di enclosures sociali e giuridiche,si va verso un regime amministrativo dei poveri separato, sottratto alla comunicazione con il resto degli scambi sociali. Chi riceve il reddito, in questo modello in fieri, è per forza di cose qualcuno ormai uscito per sempre dal mondo del lavoro, non si concepisce che possa candidarsi a una simile misura anche un soggetto attivo, magari in transizione lavorativa o addirittura in un periodo di disoccupazione “scelta” prima di ritrovare le energie e lo slancio per una nuova avventura lavorativa. Non è lecito, in un simile modello, domandarsi sulla base di quali processi sociali oggettivi il povero è divenuto un povero, come mai un disoccupato è un disoccupato, la condizione di deprivazione è additata come una colpa da emendare. Né tanto meno appare possibile porsi nell’ottica della valorizzazione della persona, non trova spazio la concezione illuministica secondo la quale l’individuo – se adeguatamente sostenuto – può autonomamente e liberamente trovare il “proprio” modo di contribuire alla crescita sociale.
Questo modello, questa visione costrittiva del reddito va contrastata con tutte le forze di cui siamo in possesso.
Questo quaderno ospita molti interventi utili alla necessaria ricentratura del discorso sul reddito. Riassumerne in poche righe il contenuto sarebbe impresa impossibile, tanto differenti sono le angolature prescelte dagli autori e tanto ricco il dibattito che emerge da queste pagine: sono richiamate le campagne popolari di questi anni, è condotta una critica ravvicinata ai testi di legge già in vigore che hanno cominciato a tradurre in atto il nuovo modello, è condotta una disamina delle politiche del lavoro e degli ammortizzatori sociali, anch’esse sempre più restrittive e dunque in linea con una concezione del reddito inteso come luogo di segmentazione sociale, è ridefinito sotto molteplici punti di vista il concetto di lavoro, è articolata in molti interventi una nozione esigente di reddito garantito. Sia consentito un riferimento esplicito all’intervista concessa anni or sono da Luciano Gallino ad Anna Simone, e qui riproposta come tributo a uno studioso di grande onestà, che giunse tardi alla “scoperta” della necessità di un reddito, ma che da quel momento in poi divenne un compagno di strada affidabile nella nostra battaglia.
Una battaglia che, oggi con maggior vigore, ancora prosegue.