di CARLO CUCCOMARINO (in sudcomune n.0/2015)
L’intervento che segue è un resoconto di un lavoro d’inchiesta sulle lotte ambientali in Calabria del 2014, che si è articolato attraverso incontri con molti dei protagonisti, alcuni dei quali ispiratori e rappresentati dei Comitati Territoriali. La tematica è stata già affrontata in alcune trasmissioni di Common Radio, che hanno avuto il pregio di rendere pubblica e partecipata la discussione sulle problematiche ambientali calabresi e sul fiorire di Comitati che hanno cominciato una politica di riappropriazione dei territori che ci è sembrata alludere a quello che noi intendiamo “costruzione del comune”. I processi politici che i Comitati hanno attivato intorno al funzionamento del sistema di raccolta dei rifiuti, tra emergenze e regimi commissariali, sono sboccati – grazie all’intelligenza implicita nella cooperazione sociale – nella denuncia della questione ambientale come una questione di “corruzione del comune”.
Lottare contro quest’ultima vuol dire riconoscere l’ambiente come una risorsa comune e lottare per la sua organizzazione e gestione in modo comune, a fronte delle brutali trasformazioni vissute nel passato recente, che hanno agitato ed agitano ancora lo spettro di una vita insalubre o, peggio, costretta alla malattia. La gestione pubblica dei rifiuti è stata scoperta come una vera e propria minaccia; in questo senso, le comunità interessate, si sono dimostrate coinvolte e consapevoli della necessaria ricomposizione tra produzione, riproduzione, salute e ambiente. I governanti tramano, esercitano sul territorio l’interesse dei pochi su quello dei molti. Alcuni importanti esempi dell’esercizio di questa politica, di seguito riportati, sono letti a partire dalla loro funzione di controllo e di governo. Ma c’è anche un’altra politica, fatta da una moltitudine di singolarità, quella dei “governati”, alternativa alla politica dei governanti e che si sviluppa lungo le traiettorie dell’autonomia e della decisione comune. Su questi ultimi punti si è focalizzato il lavoro d’inchiesta che, come è facile intuire, intende la tutela ambientale e i suoi addentellati (la qualità della vita, le buone pratiche amministrative, le occasioni di sviluppo sostenibile, eccetera) come questioni che favoriscono i processi di soggettivazione, liberano le energie della cooperazione sociale e lasciano intravedere la costruzione del comune.
Sullo stato ambientale calabrese, ovvero sulla politica dei governanti
In questi decenni una montagna di soldi pubblici, europei e nazionali, hanno permesso la riproduzione dei “governanti” calabresi, più precisamente della classe politica regionale e locale. Questo flusso di denaro, ridottosi dal 2008 in avanti, ha oliato il meccanismo clientelare di governance del sistema politico regionale, che abbiamo definito in altre sedi neofeudale; ed ha rafforzato gruppi d’interesse privati, generalmente dell’imprenditoria calabrese ma non solo. Questi soggetti si sono appropriati delle risorse pubbliche disponibili ed hanno perfezionato modalità e tecniche di assoggettamento, di controllo e dominio, che funzionano ancora oggi come dispositivi di produzione delle soggettività calabresi. Queste ultime sono i “governati”, una moltitudine di singolarità che – minacciata di povertà, malattia, sofferenza e morte – ha scoperto che ai governanti si può resistere e che, in dei casi, i governanti possono essere battuti attraverso la lotta e l’intelligenza implicita nella cooperazione sociale.
Alcuni importanti esempi di quello che avviene nei nostri territori, nei nostri piccole e medi paesi, servono a dimostrare quello che è stato e continua ad essere il mero esercizio di questo dominio dei governanti, gli effetti devastanti che il loro governo ha sulla vita dei singoli e delle comunità calabresi, si tratta di esempi di ciò che noi chiamiamo: “la corruzione del comune”, già osservata in questo numero di Sudcomune dall’angolazione di lavoratori cognitivi, ora invece affrontata dal punto di vista di raggruppamenti che si costituiscono in un processo di lotta. Corruzione del comune, dove per comune intendiamo non solo i beni comuni, come l’aria, l’acqua, l’ambiente naturale, eccetera; ma anche, e soprattutto, le “radici” della ricchezza materiale, gli elementi materiali che consentano la produzione e riproduzione sociale continua. E per corruzione intendiamo le modalità e le tecniche specifiche con cui i privati e le reti locali di potere pubblico si appropriano di tale ricchezza socialmente prodotta.
Dal “Piano per le Bonifiche” del 1999 emerge una nitida fotografia sullo stato ambientale calabrese: in ogni due comuni c’è un sito contaminato, potenzialmente dannoso per l’intera comunità: sono in totale 183 le aree del Piano appestate da discariche abusive e rifiuti di ogni genere. Le aree censite sono inoltre più numerose: nei 409 comuni calabresi sono stati individuati 696 siti potenzialmente contaminati (1). L’indagine restituisce l’immagine di un territorio fortemente deturpato a causa di un altissimo numero di discariche e zone di abbandono selvaggio di rifiuti. La Calabria, terra bella e maledetta, ha in grembo una miriade di piccole e grandi discariche che hanno iniettato veleno nella terra e nelle acque (2). Insomma, si tratta di situazioni che incidono negativamente a livello ambientale e incrementano l’incidenza di malattie tumorali, come ha evidenziato un altro studio, epidemiologico, promosso dal Ministero della Salute e coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità (3).
La Calabria conta 57 discariche attive e 636 siti da mettere in sicurezza, di cui 300 sono discariche dismesse: depositi abusivi, quattro quinti dei quali privi di qualsiasi autorizzazione. Di queste, 40 sono ad “alto rischio” mentre 260 sono di “medio rischio”. Per quelle ad alto rischio, nel “Piano” del 2002, è stata indetta una gara a procedura aperta per la redazione ed esecuzione dei Piani di Caratterizzazione, progettazione preliminare e definitiva delle Bonifiche a valere sulle risorse finanziarie del POR (FESR 2000/2006-Misura 1.8) (4).
Dei 40 siti ad alto rischio, 33 sono stati finanziati con il POR mentre gli altri 7 siti erano già stati presi in carico dal Commissario per L’Emergenza Ambientale in Calabria per motivi di “emergenza e allarme” su indicazione degli organi istituzionali. Di questi 33 siti, secondo l’analisi di rischio sanitario-ambientale eseguita (che ha escluso 3 casi in quanto al di sotto della soglia di contaminazione) 18 risultano fortemente contaminati e da «sottoporre a bonifica e messa in sicurezza permanente» (5).
Al primo posto di questa triste classifica c’è la zona Pentimele, a Reggio Calabria, dove l’intervento di bonifica ha un costo pari a 3, 3 milioni di euro. Qui, invece del vincolo idrogeologico e paesaggistico, la terra pullula di piombo e cromo. Sono stati abbandonati rifiuti di ogni genere, dal materiale di demolizione ad inerti ed ingombranti, eternit, carcasse di automobili, pneumatici e quant’altro. Ma non è questa l’area dove i costi di bonifica sono più elevati: su tutti spicca la zona di Pietrastorta, sempre a Reggio, dove servirebbero più di 8 milioni di euro per ripulire la discarica dismessa dal 1995, di 120mila metri quadrati di rifiuti che hanno raggiunto uno spessore di circa 30metri: una volumetria di 1,5 milioni di metri cubi: un cumulo di munnizza grande quanto più di tre stadi di calcio come il San Siro colmi fino all’orlo.
Al secondo posto si piazza Bovalino, sempre a Reggio Calabria: 30 mila metri quadri con una volumetria di 180 mila metri cubi di rifiuti. Per ripulire la zona “Scinà”, deposito incontrollato di una montagna di rifiuti, bisognerebbe avere a disposizione circa 5,4 milioni di euro, quasi la stessa cifra occorrente per la discarica della località “Petraro”, di Laino Borgo, in provincia di Cosenza, 2.500 metri quadrati di rifiuti vari e 25.000 metri cubi di RSU. In totale, per bonificare tutte le 18 aree ad alto rischio sono necessari 45 milioni di euro, cifra attualmente determinata solo in via presuntiva. Le risorse potevano provenire dal Por (Fesr 2007-2013), ma questo è stato gestito dal potere pubblico locale, dai governanti, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti: disciplina clientelare (quando non criminale) nella gestione dei trasferimenti finanziari e incapacità di programmazione (6).
I Comitati ambientali: prove e tentativi di organizzazione del comune
La discarica situata in Contrada Bucita nel comune di Rossano (7), dopo dieci anni dalla sua realizzazione, ha causato danni colossali a coloro che vivono nei pressi del polo tecnologico, e non solo a loro. La discarica di proprietà regionale ed una parte dell’impianto di trattamento sono stati posti sotto sequestro una prima volta nel 2009 per disastro ambientale, un disastro che si è consumato impunemente negli anni e che ha implicato, come è stato accertato, abbanchi non autorizzati e ingenti quantità di percolato in fuga nei terreni e nelle falde acquifere di quelle contrade, terreni che sono oggetto di attività antropiche di ogni tipo e falde che, dopo aver avvelenato il proprio percorso, sono finite nel mare. Nel 2011 l’intera area del polo è stata classificata come “zona interamente contaminata” dalla “Commissione Parlamentare d’Inchiesta sugli illeciti commessi al ciclo dei rifiuti in Calabria”. Nel 2013 la discarica è stata nuovamente posta sotto sequestro a causa di ulteriori smottamenti, che si presume abbiano generato nuove fughe di percolato. A causa dell’impianto di trattamento decine e decine di automezzi carichi di rifiuti hanno attraversato e continuano ad attraversare quotidianamente le contrade, migliaia di automezzi in un anno: significa inquinamento nei polmoni, inquinamento acustico, strade lastricate di percolato quasi tutti i giorni dell’anno, odori nauseabondi, attività economiche in difficoltà, eccetera. «Bisognerebbe agire con urgenza per bloccare il disastro che quotidianamente si consuma a causa delle scelleratezze di un ciclo di rifiuti obsoleto ed inadeguato». Questa è la presa d’atto del Comitato in Difesa di Bucita che, nello stesso anno, denuncia 60 mila metri cubi di rifiuti che senza alcuna autorizzazione e controllo, o riscontro documentale, sono stati abbancati nella discarica (354 mila mc contro una capienza ufficiale di 295 mila mc). Da dove provengono i 60 mila metri cubi in più? Chi li ha scaricati? Di cosa si trattava? Questa triste e clamorosa notizia si aggiunge alle inchieste svolte dalla Procura di Reggio Calabria, che ha portato alla luce un giro di falsificazione sulla natura dei rifiuti che finiscono nelle discariche calabresi:
«si tratta di un meccanismo – come afferma Flavio Stasi del Comitato, referente regionale “legge rifiuti zero” – con cui dei rifiuti pericolosi, che quindi richiedono trattamenti delicatissimi e costosi per preservare la salute pubblica, tramite carte false venivano convertiti in rifiuti non pericolosi e quindi potevano essere comodamente abbandonati nelle discariche come quella di Bucita a Rossano»
Tutto questa crea ancora più sospetti sulla natura di quei 60 mila metri cubi circa di rifiuti ignoti, abusivi e illegali e si chiede alle istituzioni locali di reagire alla grave situazione denunciata ormai da anni. La misura già colma rischia effettivamente di straripare alla presenza del Bando predisposto dalla giunta Scopelliti nel febbraio del 2014 che, senza alcuna consultazione della comunità e delle istituzioni territoriali (neppure delle commissioni regionali), prevede l’esportazione dei rifiuti all’estero, per un costo di 93 milioni di euro all’anno. Con il consueto pretesto dell’emergenza i governanti evitano da molti anni di concepire e mettere in atto un Piano di rifiuti sostenibile basato sul riciclo ed il riutilizzo, per concentrarsi su progetti come lo smaltimento rifiuti all’estero, un “affare” di centinaia di milioni di euro che verrà pagato dai calabresi, mentre il territorio continua ad essere vessato da impianti devastanti e progetti costosissimi e da condizioni sanitarie sempre più preoccupanti. Anche dal punto di vista tecnico, peraltro, lo strampalato Bando è carente, sbilanciato sull’area ionica cosentina, con il peso dell’intera provincia di Cosenza. Peraltro, tale programmazione influisce negativamente sulla desertificazione della “sibaritide” in atto da anni: 750 tonnellate di rifiuti al giorno. Ciò significherebbe asservire la Statale 106 ed il porto di “Corigliano” esclusivamente a questo scopo, rendendo la sibaritide una enorme area di movimentazione rifiuti: addio pesca, addio agricoltura, addio turismo, addio salute. Il Comitato sostiene che questo provvedimento irrazionale, emanato senza alcuna consultazione deve essere rifiutato e da il via ad una mobilitazione che coinvolge le comunità interessate e genera una forte tensione con l’istituto Regionale. Si sviluppa una importante discussione pubblica su come affrontare l’emergenza e ristrutturare il ciclo dei rifiuti, ed anche sui motivi della speculazione favorita da una classe politica troppo spesso complice, incurante del territorio, delle sue vocazioni, economie e comunità: i governanti sono sotto accusa!
«E’ il momento – afferma uno dei componenti del Comitato nell’invito a convocare una manifestazione pubblica per il 12 febbraio 2014 – che i territori inizino a bloccare l’intera logica scellerata di questo ciclo dei rifiuti! E’ il momento che le istituzioni scendano dai loro scranni e che le comunità decidano loro come gestire i rifiuti ed i propri soldi».
Progetti di discariche medioevali e costosissime, spesso non a norma, oppure impianti devastanti che precludono lo sviluppo di un sistema basato sul riciclo e sul riutilizzo sono previsti da Reggio Calabria al Pollino: la Calabria sembra risultare la peggiore area d’Europa per la gestione dei rifiuti (8). Dobbiamo fermarli sostiene il Comitato, la Regione con l’emanazione del Bando per lo smaltimento all’estero dei rifiuti intende spendere 93milioni di euro ogni anno ed allo stesso tempo bisogna caricare 1200 tonnellate di rifiuti al giorno su navi per spedirli altrove. E’ scellerato e privo di senso, viene ripetuto, è il momento che le comunità decidano direttamente sulla gestione dei rifiuti che è finanziata dal prelievo fiscale. Dal 3 febbraio 2014, il Comitato, con ampio coinvolgimento degli abitanti, inizia un presidio 24 ore su 24, blocca la strada per l’impianto e convoca una manifestazione per il 12 dello stesso mese, l’esito della quale fa gridare quelli del Comitato: «Abbiamo vinto noi!». Il 28 Aprile in una conferenza stampa si annuncia il ritiro del Bando e il Comitato dichiara solennemente: «d’ora in poi decidiamo noi!». Cosi comincia un processo di fiducia nell’azione cooperativa, che porterà all’appuntamento regionale di maggio quando nella città di Cosenza confluiscono tutte le istanze presenti nel territorio regionale.
«Si individuino finalmente i responsabili di questi scempi – continua Flavio Stasi – a partire dai funzionari regionali e dagli pseudo amministratori che in questi anni hanno fatto del settore rifiuti della regione Calabria il più losco e spietato business del Mezzogiorno ammalando lentamente le nostre popolazioni e i nostri territori»
Il Comitato di Bucita ha vinto una battaglia significativa ed ha indicato un nuovo modo di intendere e fare politica, non come delega, ma come partecipazione attiva alla risoluzione dei problemi del territorio, in modo alternativo alla gestione ambientale dei governanti. Una lezione preziosa sotto gli occhi di tutti, che mostra come è possibile contrapporsi ai piani dei governanti locali.
Un altra storia del territorio cratense è quella che interessa il Comune di Bisignano (9), dove i governanti sono stati favorevoli ad ospitare i rifiuti dell’Area Calabria Nord: 180 mila tonnellate l’anno, per le quali è prevista la costruzione di una piattaforma tecnologica dei rifiuti nello stesso sito della grande discarica. La decisione di accogliere un impianto di tale portata conta in bilancio regionale + 900 mila euro, da utilizzare per appianare il debito dell’erario comunale: questa, secondo i governanti, è la buona ed unica ragione. A Bisignano, dove la raccolta “porta a porta” non ha raggiunto la percentuale annua prevista dai protocolli in materia di differenziata, i governanti della Regione Calabria non mirano alla valorizzazione del “riciclabile”, come richiesto dall’Europa, ma puntano ancora una volta al conferimento in discarica, favorendo il malaffare di chi è pronto a gestire l’impianto, il trasporto dei rifiuti e quant’altro. In palio vi sono ben 15milioni di euro da investire tra Fondi Europei e Por rimodulati. Le decisioni in merito non sono state precedute da un doveroso e adeguato coinvolgimento dei cittadini ne da una conveniente e puntuale informazione. Le deliberazioni sono apparse alla gran parte della comunità bisignanese troppo frettolose e non affatto condivise. La decisione di realizzare questo impianto, d’altronde, sarebbe una decisione stabile e irreversibile che graverebbe su queste e sulle future generazioni del posto, con verosimili conseguenze sulla loro salute. I favorevoli all’impianto sono l’Amministrazione Comunale e la Regione Calabria. La prima definisce la costruzione della piattaforma di raccolta, trattamento e smistamento rifiuti solidi urbani, come una sorte di grande occasione per la città per rilanciare un’economia in fase di stasi, la seconda favorisce e orienta la scelta comunale fino a determinarla. Contrari, con visioni opposte, i contadini e i cittadini di Bisignano del Comitato “No alla Piattaforma”, insieme alle associazioni di categorie ed a singolarità e raggruppamenti del vicino Comune di Luzzi.
Il Comitato ha sempre sottolineato come il sito individuato per l’impianto della piattaforma corrisponde ad una zona ad altissimo rischio idrogeologico, soggetta a vincoli PAI (Piano Assetto Idrogeologico), a prevalente vocazione agricola e agrituristica, con insediamenti abitativi residenziali a poche centinaia di metri di distanza. Un impianto delle dimensioni previste, aggiungono i rappresentanti del Comitato, non può essere garanzia di salubrità in quanto tratterebbe prevalentemente rifiuti indifferenziati, e diventerebbe inevitabilmente discarica permanente. Il Comitato più volte precisa che il trattamento dei rifiuti per produrre CDR (Combustibile da rifiuti) per energia e di Compost organico per fertilizzazione non sono metodiche scevre da rischi: nel primo caso, perché si producono polveri sottilissime che si disperdono nell’aria e sulla superficie con alte probabilità di venire inalate; nel secondo caso, per la produzione di gas tossici in fase di stoccaggio e di deposito, oltre che ai miasmi e alla conseguente insalubrità dell’aria legata alla proliferazione di microrganismi e insetti. Una piattaforma così sovradimensionata raccoglierebbe una tale mole di “parte umida” che inevitabilmente – nonostante le moderne e sofisticate tecniche di isolamento e impermeabilizzazione delle vasche – una quantità imprevedibile di percolato verrebbe ad essere conferita nelle acque del “Mucone” con tutte ciò che questo comporta. Secondo il Comitato, sulla scorta di precise informazioni su impianti di simile portata e tecnologia, non ci sarebbe neppure la prodigiosa ricaduta occupazionale sottolineata dai governanti, ma una pur positiva presenza di circa venti tecnici specializzati.
L’impatto negativo, inoltre, non si limiterebbe alla piattaforma in sé ma riguarderebbe anche le attività di un imponente trasporto su gomma, calcolato in un via vai di circa 50 autotreni al giorno in media per il carico e scarico. Questo impianto, se realizzato, avrebbe dunque un impatto devastante sulla già fragile economia agricola del territorio, con conseguenze gravi sul precario tessuto produttivo e occupazionale basato prevalentemente su orticultura, serri cultura e floricultura di alta qualità. Per questo motivo il Comitato si rivolge con la massima attenzione a tutti gli agricoltori e imprenditori agricoli, chiamandoli ad una rapida presa di coscienza. Sulla coscienza di comunità il Comitato insiste molto perché, a suo modo di vedere, il problema si risolve in primis con la consapevolezza che porti a una progressiva diminuzione della produzione di rifiuti e alla utilizzazione della raccolta differenziata “al 100%”, rendendo l’uso di tali impianti del tutto inutile. Crescono pertanto le iniziative del Comitato volte a sensibilizzare e informare gli abitanti che cominciano a prendere parte ad assemblee, dibattiti e manifestazioni, con il fine di bloccare e revocare le procedure già avviate per la costruzione dell’impianto. Una fiaccolata per le vie della città, ma soprattutto l’occupazione della sala consiliare del Municipio di “Collina Castelli”, avvenuta il 27 gennaio del 2014, sono il segnale che qualcosa si muove, che i bisignanesi hanno avvertito e fatto propria la problematica.
La solidarietà al Comitato arriva dalle associazioni di categorie, ma anche e soprattutto dai paesi limitrofi, come da “Luzzi”, dove in un consiglio comunale aperto l’unanimità dei partecipanti ha deciso di opporsi alla creazione della piattaforma il cui sito è previsto al confine tra Bisignano e Luzzi. Si susseguono allora vari incontri tra il Comitato, la Prefettura di Cosenza, la Provincia di Cosenza e la stessa Regione Calabria, scanditi da manifestazioni nelle piazze. Nonostante ciò, l’Amministrazione Comunale di Bisignano ha intenzione di proseguire nel suo progetto in accordo con la Regione Calabria. Il Comitato nel frattempo ha informato la cittadinanza con documenti tecnici e proposte alternative a quelle del Dipartimento Ambiente e del suo assessore regionale Franco Pugliano. La lotta, dichiarano dal Comitato prosegue nelle forme, modi e tempi che verranno valutati quotidianamente, sempre nel solco del buon senso. Da qui in avanti il Comitato lavora per rafforzare la rete di Comitati che sempre più numerosi sorgono spontaneamente nei comuni calabresi e che possono costituire un fronte comune ampio e incisivo. Il Comitato coglie le iniziative sul territorio e la cornice nella quale avvengono. Prende atto delle risposte ricevute negli incontri con le istituzioni territoriali e ne evidenzia puntualmente le incongruenze. Cosi facendo favorisce la comparsa di dubbi tra coloro che non sono ancora pienamente coinvolti nel problema e, viceversa, aumenta l’autonoma capacità di determinazione e opposizione. Dopo una raccolta di firme di adesione, oltre quattro mila, il Comitato chiede ai governanti di dirottare tutti gli investimenti del Piano Rifiuti sulla differenziata spinta. La battaglia è ancora in corso e l’obiettivo del Comitato è quello di generalizzare la lotta tra gli abitanti di Bisignano e dei paesi limitrofi.
Il Comitato Ambientale Presilano è costituito principalmente dagli abitanti delle vicine comunità di Celico e di Rovito (10) che prendono atto degli scempi compiuti da decisioni, affatto legittime, prese sull’impianto di smaltimento rifiuti che sorge a Celico, in località San Nicola. molto vicino a Rovito. La storia della discarica di Celico comincia nel 1997 quando, all’Unità Socio Sanitaria di Cosenza, viene presentata la richiesta per la costruzione dell’impianto smaltimento da parte della Società Mi.Ga. Nel 2002 comincia la lavorazione del compost e in poco tempo l’aria diventa irrespirabile: le vasche per la lavorazione del materiale sono scoperte contrariamente a quanto di norma previsto. Lamentele e preoccupazioni si destano nella popolazione e viene allertata l’Asp (Agenzia di Sanità Pubblica) di Cosenza che sottolinea la mancata presenza di impianti di nebulizzazione per i cattivi odori e l’utilizzo di un telone per coprire le vasche. Soluzione ridicola – viene sottolineato – perché né i profumi né una copertura mobile possono ridurre i rischi provenienti da un’errata utilizzazione del sistema di compostaggio. La Società Mi.Ga allora promette di realizzare una copertura con telone cerato entro il 2011. Termine poi slittato al 2012, a distanza di pochi mesi della presentazione della stessa per un progetto ancora più costoso. Dopo un paio d’anni di polemiche, l’impianto di compostaggio torna al centro dell’attenzione dei governanti, che avvertono un campanello d’allarme: si stanno smaltendo RSU in un impianto non adatto allo smaltimento, pena gravi danni alla salute. Però, come se nulla fosse, con l’ordinanza dell’11 novembre 2013 la giunta Scopelliti prevede di smaltire i RSU nelle discariche regionali senza averli prima trattati preventivamente e la discarica di Celico viene coinvolta in tale provvedimento. Non c’è nessun interesse a tutelare da parte della Giunta un paesaggio che si trova alle falde del Parco Nazionale della Sila, bellezza naturale candidata ad essere inserita nel patrimonio Unesco. Nessuna preoccupazione per la vita e la salute della stessa, anche se la discarica si trova a soli 900 metri sul livello del mare e questo significherebbe inquinare facilmente le falde acquifere. Nessuna inquietudine, sebbene i cittadini della presila ribadiscano insistentemente che le persone malate di tumore sono notevolmente aumentate rispetto al passato recente.
La popolazione presilana però non ha abbassato la testa. Nella giornata del 16 febbraio 2014 più di duecento persone hanno gettato le basi per quella che poi diventerà una battaglia contro chi ha deciso di avvelenare il territorio e la vita di chi lo abita. Un presidio di protesta spontaneo sorge contro l’apertura del sito privato di compostaggio, su volere della Regione, intenzionata a sversare i rifiuti indifferenziati per rimediare all’emergenza. In poche ore vengono bloccati i primi 50 camion provenienti dall’intera provincia di Cosenza, un episodio che si ripete fino all’alba del 20 febbraio, quando un numero abbastanza rilevante di carabinieri e guardia di finanza, in assetto anti sommossa, viene inviato per rimuovere il presidio che nel frattempo aveva raddoppiato le presenze: uomini, donne, bambini, anziani e disabili erano i “terroristi” da cacciare via per fare largo a quintali di immondizia. Come altre volte e in altri luoghi alla volontà di partecipare alle decisioni sulla sorte del proprio territorio è stato risposto sul piano dell’ordine pubblico, militarizzando il territorio. Manganelli, caschi e scudi, denunce e minacce non riescono comunque a fare indietreggiare d’un passo gli abitanti di Celico e di Rovito che hanno resistito in modo passivo agli ordini di sgombero della celere. Solo in tarda mattinata si giunge ad un accordo: i camion sarebbero potuti entrare a patto che membri qualificati del Comitato e agenti di polizia preposti potessero visionare lo sversamento dei rifiuti e il contenuto dei tir. Molti camion tornano indietro per la perdita di percolato. Nel frattempo viene a galla che per smaltire i rifiuti nell’impianto di Celico manca l’autorizzazione dell’Arpacal ed è anche stata aperta un’inchiesta per indagare su presunte irregolarità. Comuni e Regioni, soprattutto i primi, hanno preso tempo e, in attesa delle autorizzazioni, si sono accordati col Comitato per poter conferire i rifiuti in discarica per un termine massimo di 10 giorni, al fine di porre una tregua allo stato di emergenzialità. Ma, come era prevedibile, le autorizzazioni non sono arrivate ed allo scoccare dell’undicesimo giorno è nuovamente ripreso il blocco dei tir carichi di immondizia. Una “ordinanza della vergogna”, che al posto di incentivare la virtuosità dei Comuni della Pre Sila e delle Serre Cosentine – operanti per il 60% la raccolta differenziata – vuole la loro “punizione”. L’esperienza di Celico, oltre a confermare la statura dei governanti, ci insegna anche che una popolazione unita e combattiva che non si da per vinta riesce a sperimentare forme di autorganizzazione, ed a resistere alle intimidazioni delle forze dell’ordine, pronte a sventolare provvedimenti penali per incutere paura: agli ordini si può disobbedire, la giunta Scopelliti è sotto scacco. Al blocco dei tir provenienti dalla città di Cosenza, non autorizzati a conferire nella discarica, seguono riunioni e assemblee dove vengono elaborate alcune proposte alternative alle sciagurate strategie messe in campo da una politica dei governanti sempre più incapace e corrotta. Il Comitato ha presentato delle istanze ai Sindaci dei Comuni Pre-Silani: per una partecipazione politica diretta nell’attuale emergenza dei rifiuti, secondo la strategia del Piano Rifiuti Zero, e per l’aumento delle isole ecologiche zonali. Tra queste spicca la proposta che la discarica di proprietà della Mi.Ga possa raccogliere solo i rifiuti della Pre-Sila, che attuano il 65% della raccolta differenziata porta a porta, e l’indizione di un referendum che possa allargare il Parco della Sila anche alla Pre-Sila, così da poter valorizzare l’intera area. Nonostante ciò, durante la giornata dell’8 marzo la polizia e la celere hanno nuovamente tentato di sgomberare il presidio. All’arrivo dei camion di spazzatura provenienti dal capoluogo cosentino e da San Giovanni in Fiore i cittadini e le cittadine hanno nuovamente formato un blocco con momenti di tensione, sebbene i manifestanti avessero alzato le mani in alto ed avevano dei fiori mentre venivano spintonati e minacciati dai manganelli. Ancora una volta i governanti non sanno che usare la forza. Ma il presidio questa volta, visti i precedenti, non ha cercato nessun accordo: è rimasto fermo, compatto, unito, dimostrando consapevolezza del fatto che questa lotta è molto più importante di qualsiasi manganellata o denuncia.
«le persone, ci racconta un rappresentante del comitato, non sono cieche e lo hanno dimostrato in questi giorni nei quali l’esasperazione ha fatto si che si formassero comitati spontanei che sono poi riusciti ad inceppare il meccaismo di aggressione e speculazione presente fuori dalle nostre case, mettendo in gioco il diritto alla nostra esistenza»
I governanti, con la longa mano della Regione, non sembrano comunque arrendersi, e si verificano ennesimi tentativi per rimuovere il presidio in modo da far passare i tir. In uno di questi resta ferito un ragazzo, in ospedale con 10 giorni di prognosi, coinvolto da un tir carico di spazzatura che ha forzato il blocco. La situazione diventa sempre più bollente e si avviano trattative sia in Prefettura che con la Regione. I Sindaci della Comunità Pre-Silana propongono di inviare i rifiuti alla Calabria Maceri e Servizi Spa, azienda che gestisce la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti di diversi paesi, separando l’organico da inviare all’impianto di compostaggio di Celico dal resto destinato al termovalorizzatore di Gioia Tauro. Per il Comitato è una beffa: al posto di promuovere la raccolta spinta porta a porta non si fa altro che rimandare ad inceneritori e discariche. Questa è l’unica strategia della giunta Scopelliti. Lo scontro si è allora spostato direttamente alla Regione e ci si è confrontati nel frattempo con le altre realtà di lotte ambientali per organizzare una manifestazione regionale con una sola e unica proposta alternativa, manifestazione che si è tenuta il 10 maggio 2014.
Quella di Celico è stata una resistenza forte e decisa, nutrita di un alto senso di giustizia sociale e di riscatto dai soprusi. Una battaglia lunga ma vinta, che se generalizzata potrebbe dare effetti importanti, non solo relativamente alla gestione diretta dei rifiuti ma anche indicativa del fatto che non si possono delegare le decisioni sul futuro delle proprie vite.
L’8 febbraio 2014 in una assemblea molto partecipata tenutasi a “Cancello di Serrastretta”, in provincia di Catanzaro, viene fondato il Comitato No alla discarica di Pianopoli, discarica al suo quarto ampliamento, con l’obiettivo di invertire totalmente la rotta della politica regionale di gestione dei rifiuti. A questa Assemblea, a fianco alla popolazione di Cancello, Migliuso, Pianopoli, Lamezia Terme, Curinga sono intervenuti diversi rappresentati di più svariate esperienze di lotta sul territori: da chi si oppone alle finte isole ecologiche di Donnici e Battaglina al Comitato No Discarica Valle Giano di Lago, a chi si oppone alla costruzione degli impianti di Bisignano e Castrolibero, eccetera. Il Sindaco di Pianopoli (11) Gianluca Cuda e la sua maggioranza costituitasi intorno alla lista civica “Ramoscello d’ulivo”, hanno voluto e sostenuto la realizzazione della discarica, così come hanno concordato la richiesta del II e III lotto della stessa.
A dire il vero, molte difformità e contraddizioni vennero riscontrate dal gruppo di minoranza del consiglio comunale di Pianopoli ma, nonostante ciò, non c’è mai stata nessuna preoccupazione per l’inadeguatezza del sito. Bastò una modifica del progetto e unanimi diedero il benestare alla grande opera, la mega discarica di Pianopoli. Oggi l’inadeguatezza del sito è dimostrata dalle diverse frane che si verificano a seguito di piogge battenti e dalla difficoltà di controllare la qualità dei conferimenti. Inoltre, lo scorso gennaio, avviene l’arresto dei vertici della Daneco s.r.l per smaltimento illegale di rifiuti pericolosi in siti non idonei di proprietà della stessa. La Daneco, l’azienda che è proprietaria e gestisce la discarica di Pianopoli e l’impianto di lavorazione e selezione situato nell’area industriale di Lamezia Terme, sollecita il Sindaco di Pianopoli a fare il “salto della quaglia”.
La richiesta di bloccare i lavori del IV° lotto arriva dai nascenti comitati, da una parte della popolazione e dalla stessa amministrazione del Sindaco Cuda che, rendendosi conto delle enormi difficoltà di gestione della situazione, dopo aver costruito la sua carriera politica sul progetto di realizzazione della discarica, è costretto ad ergersi a paladino della salute dei pianopolesi. Non è meno significativa la giravolta del Pd calabrese che negli anni ha rappresentato parte integrante di quel “partito trasversale della munnizza” che ha fatto gli interessi di imprenditori senza scrupoli e di una malavita organizzata che ha sguazzato indisturbata nei meandri di un “sistema commissariale” creato ad hoc per fare lauti guadagni con i soldi pubblici. Per fare un solo esempio, il sub commissario che diede l’autorizzazione per la realizzazione della discarica di Pianopoli alla richiedente Eco Inerti s.r.l fu Italo Reale, ora responsabile del Dipartimento Ambiente del Pd Calabrese.
La discarica di Pianopoli ha un precedente significativo che vale la pena ricordare. Il 9 giugno del 2005 il Comitato Civico Intercomunale contro la discarica di Pianopoli – battezzata dallo stesso “discarica dei due mari” – fa un appello alle autorità: dall’attuale Sindaco di Pianopoli, all’allora Presidente della Regione Agazio Loiero, dall’Assessore all’Ambiente, il verde Diego Tommaso, al Commissario Emergenza Rifiuti Domenico Bagnato, al sindaco di Lamezia Terme Gianni Speranza. L’appello viene redatto dopo l’inizio dei lavori per la costruzione della discarica in data 23 maggio 2005 evidenziando come l’impianto progettuale non era affatto chiaro; come non era chiara la modalità di incetta dei terreni, un tempo in mano a numerosi piccoli proprietari, oggi in mano ad un solo proprietario. Non è chiaro, dicono dal comitato, chi ha scelto un sito non idoneo; non è chiara la questione del vincolo idrogeologico e del “nulla-osta” che in un batter d’occhio l’avrebbe rimosso. Di fatti, l’autorizzazione a costruire la discarica si basa oltre che su alcuni dati non veri, su un “nulla osta” concesso in fretta e furia (richiesta: 04 dicembre 2002; sopralluogo: 05 dicembre 2002; rilascio: 06 dicembre 2002) dal Coordinamento Distrettuale di Lamezia Terme del Corpo Forestale dello Stato. Tale “nulla-osta” conteneva una prescrizione paradossale: «non dovranno essere movimentate le colline circostanti che essendo di natura sabbiosa possono creare problemi idrogeologici». Non vengono nello stesso documento trascurati l’esistenza di pozzi e falde acquifere superficiali nell’area e, a meno di un chilometro, dei pozzi per l’approvigionamento idrico di Lamezia Terme. Quanti siano gli effettivi rischi per le popolazioni e l’ambiente non ha bisogno di ulteriore commento. Del resto il decreto Lgs. n. 36/03 ha vietato l’ubicazione di discariche in tali aree. Sarà sufficiente una tenue geomembrana impermeabile di HDPE dello spessore di due millimetri, chiedono quelli del Comitato nell’appello alle autorità, a tenere separati da questo mare di sabbia friabile e franosa i 500mila metri cubi che saranno in futuro ammassati nella discarica? Anche di fronte all’eventualità di un sisma?
Molte cose, dunque, non erano chiare dieci anni fa come non lo sono adesso: non è chiaro il ruolo avuto in tutta la vicenda dall’Amministrazione Comunale di Pianopoli che ha tenuto rigorosamente all’oscuro le popolazioni e le altre amministrazioni comunali. Eppure i Sindaci si incontrano nelle Assemblee dei Pit e dei Piar. Ma non sono per nulla chiari neanche il ruolo avuto dagli Uffici dell’Assessorato Regionale all’Ambiente e dagli Uffici del Commissario all’Emergenza Rifiuti. La Discarica di Pianopoli, conclude l’appello, è il risultato di questa poca chiarezza. Le domande di ieri rimangono quelle di oggi: perché non si ferma questo sfascio? Perché non si ferma questa devastazione totale del territorio?
Il Comitato No all’ampliamento della discarica di Pianopoli raccoglie ragioni e domande di 10 anni prima continuando ad esternarle. La discarica frana, la massa dei rifiuti smotta e cede in più punti, si hanno grosse difficoltà per lo smaltimento del percolato ed è probabile il cedimento del fondo sabbioso della discarica. Ma nessuno si preoccupa di controllare, di analizzare le acque delle falde sotterranee e verificare se il disastro temuto è già avvenuto. Dove sono i Nuclei Operativi Ecologici? Dov’è l’Arpacal? Dove l’Asl? Ma un’altra domanda, urgente, andrebbe fatta: cosa altro occorre per determinare un agire politico all’altezza di questo attacco alle condizioni di vita di intere comunità calabresi? Il 25 maggio 2014 si sono tenute le elezioni comunali e il sindaco Gianluca Cuda è stato riconfermato, ma una risposta – come si evince dalle parole di un esponente del Comitato – inizia ad essere delineata:
«Per determinare un nuovo modello che superi le emergenze costanti del nostro territorio, bisogna proporre un agire politico non più legato a logiche di tipo affaristico privatistico, ma a logiche di tutela del bene comune attraverso una gestione partecipata e con una precisa volontà politica unita ad un intenso lavoro di socializzazione e di cooperazione. Sarebbe ottimale se questo venisse svolto insieme ad una amministrazione che abbia la medesima visione politica o comunque insieme a tutti quei movimenti in lotta per quei beni e sevizi comuni o risorse che non possono essere considerati più come merce».
Battaglina è un fazzoletto di terra fra Catanzaro e Lamezia Terme, già stuprato da pale eoliche e da mega impianti fotovoltaici in mezzo ai boschi. A queste latitudini, dove l’energia pulita è un business, iniziano i lavori di costruzione della più grande discarica italiana, un vero e proprio ecomostro: il nome è “Isola Ecologica di Battaglina” e sorge su due falde acquifere nei comuni di Borgia, San Floro e Girifalco (12). All’inizio del 2014 è già pronta la prima vasca dove devono essere riversati i rifiuti e l’amianto. La discarica di Battaglina è stata autorizzata dalla Regione Calabria (giunta Scopelliti) nonostante gli inquietanti pareri di valutazione di impatto ambientale del Dipartimento Politiche dell’Ambiente, che nell’agosto 2009 scriveva: «L’area ricade in zona boscata, derivante da rimboschimento, risulta distante dall’alveo del torrente a valle di circa 150 metri (…) dal punto di vista geomorfologico l’intervento modificherebbe sostanzialmente il sistema di deflusso delle acque meteoriche, l’area è compresa in zona sismica di Categoria 1°». La discarica per rifiuti inerti prevede anche lo smaltimento di rifiuti contenenti amianto ed i pericoli aumentano perché la discarica è sottovento. Il sito inoltre comprende un’area interessata da un sistema idrico superficiale, costituito da fossi e incisioni con orli e scarpate a volte instabili. La discarica di Battaglina inoltre non fu prevista nel “Piano Gestione Rifiuti 2007” per il quale le discariche di Catanzaro e Lamezia Terme soddisfacevano il fabbisogno impiantistico del territorio provinciale.
La ditta vincitrice dell’appalto ha costruito la prima vasca, quella per riversare i rifiuti e l’amianto. Dopo altre sette vasche la deturpazione sarebbe stata completa e riguardante anche il bosco realizzato grazie a un Piano di Rimboschimento durato quasi 40 anni. Per non parlare del percolato che potrebbe infiltrarsi nelle falde acquifere. Un danno da scongiurare per il Comitato No Discarica di Battaglina che nel gennaio 2014 è riuscito a portare in piazza quasi 10mila persone dopo una efficace opera di sensibilizzazione. Le autorizzazioni sono state firmate su carta intestata della Regione Calabria, mentre, paradossalmente, Scopelliti, il Presidente della Provincia e il Sindaco di Catanzaro si dichiaravano contrari alla costruzione della discarica. Quello che il Comitato chiede, a questo punto, è perché che la discarica venga chiusa definitivamente. Davanti all’ingresso del cantiere si allestisce un presidio fisso per impedire l’ingresso dei mezzi, chiedendo contemporaneamente il ritiro del contratto stipulato con la ditta che sta realizzando i lavori frattanto bloccati. Tommaso Saraceno, vice presidente del Comitato avverte: «Questa politica ci sta avvelenando tutti. Le due falde acquifere servono 100mila abitanti. Battaglina è una collina arenaria con gronda acqua. La chiamano “isola ecologica” perché cosi è stato possibile avviare l’iter procedurale. In realtà si appresta ad essere una vera “bomba ecologica”». Il Comitato chiede il sequestro del cantiere perché non vuole un “ecomostro”. Il terreno viene rivendicato come appartenente alle comunità che lo vivono e ne chiedono una gestione partecipata. La discarica di Battaglina è un progetto faraonico: 3 milioni di metri cubi (6 stadi di calcio come il San Siro colmi fino all’orlo). Da inizio marzo 2014 grazie alle mobilitazioni delle comunità locali interessate la discarica di Battaglina viene bloccata da un provvedimento della Regione Calabria, costretta ha sospendere il giudizio di compatibilità ambientale concesso quattro anni prima.
L’incaricata dei lavori è la Sirim srl, con sede a Catanzaro, che ha ultimato i lavori di scavo della più grande delle due vasche previste. L’area venne sequestrata nel 2011 quando il Corpo Forestale scoprì che la Sirim srl non aveva tutte le autorizzazioni necessarie. La Procura, due anni fa, sembra sia tornata a indagare. E parte della documentazione necessarie non convince gli inquirenti. Da parte sua la Sirim srl respinge tutte le accuse assicurando che si tratta di “una normale isola ecologica” come tante al mondo, una “semplice piattaforma” per la gestione e il trattamento dei rifiuti con annessa discarica.
Il Comune di Borgia è proprietario dei 45 ettari di terreno della zona di Battaglina che nel 2007 diede la concessione edilizia per la realizzazione dell’opera. Nel luglio 2013, approvò una delibera per il mutamento temporaneo di destinazione per anni 40 dell’area, inizialmente destinata ad usi civici. In tutta la zona ci sono già 2 discariche e un Parco Eolico, nonostante si tratta di una zona già sottoposta a un programma di rimboschimento. Inoltre l’area è a rischio sismico, sottoposta a vincoli idrogeologici e forestali ed è scavata sopra due falde acquifere che servono 7 comuni.
Il perdurare del silenzio delle istituzioni si fa ancora più assordante, ma questa volta non ci sono margini di manovra per i governanti: a luglio del 2014 la Regione annulla il “decreto” che autorizzava la discarica. La lotta sulla discarica di Battaglina ha pagato e parla di una comunità che ha deciso di agire il conflitto dal basso. L’esperienza del Comitato è servita per questo: mettersi insieme, conoscersi e riconoscere i propri bisogni, immaginare percorsi comuni per rendere vincente la lotta:
«I governanti tramavano, ci dice Vito, esercitando all’itnerno del territorio, l’interesse dei pochi sui molti, il lavoro notevole dei componenti del comitato ha focalizzato questo scollamento recependo che era una battaglia per la vita. Questo è stato il successo del comitato, quando lo stesso ha raggiunti, consapevolezza ed autorevolezza del proprio ruolo assumendo uno sguardo più ampio. Il comitato ha posto alla riflessione comune il fatto che ci si è riappropriati degli interessi comuni nel proprio territorio in quanto gli stessi costituiscono interessi per la vita stessa (13)»
L’esperienza del Comitato ha sicuramente favorito la crescita del protagonismo sociale e politico e di tutte quelle soggettività coinvolte all’interno dei territori interessati al provvedimento. Sono state lotte tramite le quali siamo riusciti ad intravvedere la possibilità di organizzare il comune.
I cittadini di Donnici (14), frazione a sud di Cosenza, a seguito dell’inizio dei lavori inerenti alla realizzazione del CRC (Centro di Raccolta Comunale) a supporto della raccolta differenziata dei rifiuti urbani del Comune di Cosenza sito in località Albicello, si costituiscono in un Comitato spontaneo per la difesa del territorio. E’ il 25 Ottobre 2013. La scelta dell’Amministrazione Comunale cosentina ha colto di sorpresa la popolazione che in nessun modo è stata coinvolta ed informata. Il Comitato Difesa del Territorio di Donnici, sin dall’inizio di questa storia si è dichiarato favorevole alla raccolta differenziata e alle isole ecologiche. Ma contesta energicamente la mancata trasparenza nella ideazione, progettazione e inizio dei lavori del CRC (che non è un’isola ecologica). I cittadini di Donnici scopriranno, dunque, l’inizio dei lavori così importanti con l’arrivo delle ruspe. Il Comitato ha sempre sottolineato che è soprattutto “un problema di luogo”. Ascoltando le persone anziane di Donnici si evince che nel 1959 il torrente Albicello ha esondato, imponendo l’evacuazione della zona. I vecchi del posto, dunque, ricordano una alluvione, ma l’Amministrazione Comunale preferisce non ascoltare e dare poca importanza alla memoria dei luoghi, trincerandosi dietro carte e procedure burocratiche: «i vecchi ricordano male, argomenta l’amministrazione, doveva essere un altro fondo, perché il PAI (una pianta che spiega il rischio idrogeologico) non dava vincoli alla costruzione». Tutto falso, non a caso la risposta del Comitato è sempre stata: «ci fidiamo più dei nostri vecchi che del PAI» (15). La mancanza di fiducia nei governanti è palese, anche perché non c’è motivo di tenere nascosto un progetto che migliora la raccolta differenziata sino all’arrivo delle ruspe. Il Comitato è convinto che il problema dei rifiuti non può che essere partecipato e condiviso. Si può progettare un Centro di Raccolta a pochissimi metri di un torrente? in un terreno già esondato? Il Comitato non vuole accettare la costruzione di qualcosa che di ecologico ha solo il nome. Viene allora avviato un vero e proprio work in progress, che vede gli abitanti costruire un “report storiografico” che via via si arricchisce sempre di più, fino a definire “scientificamente” e politicamente le motivazioni del No alla costruzione del sito. Un lavoro attento, approfondito, esteso ad ogni metro di terreno intorno al cantiere; un lavoro che i governanti di Cosenza avrebbero dovuto far proprio prima di avventurarsi in quello che i progettisti hanno definito una “bicicletta con gli sportelli”. Nel report è evidente la forza della cooperazione sociale, professionisti che sul campo della tecnica, della ricerca storica e delle discipline giuridiche sono tra i migliori della città contribuiscono, in comune con gli abitanti, alla redazione di un documento di 53 pagine che si trasformerà presto in un esposto, firmato ed indirizzato a 27 autorità il 3 dicembre 2013. Tra i tanti punti del documento vigliamo ricordare la tematica degli “acquari”, ripetutamente segnalata come centrale da parte del Comitato, in base all’importanza strategica del sistema di irrigazione di un territorio storicamente vocato all’agricoltura. Il canale di circa un chilometro del periodo borbonico (ma non è da escludere che fosse già romano utilizzato per attivare i mulini), in quanto derivazione delle acque pubbliche, è infatti soggetto alle leggi che riguardano i percorsi delle acque, i quali hanno carattere di opera pubblica che non può essere affrontata con la superficialità e pressapochismo. In questa storia i beni comuni, tante volte già calpestati, per la popolazione vanno salvaguardati. Il Comitato, dunque, non ci sta e si fa strada nel suo attivarsi ad una politica di riappropriazione del territorio, sviluppando una reinvenzione che fa leva sulla forza dell’autorganizzazione. Si chiede al Sindaco Mario Occhiuto di sospendere i lavori e si organizzano le prime partecipate manifestazioni in città. La capacità di autogestione si rafforza e si avvia un processo di cooperazione tra gli abitanti. Si schiudono una continuità di lotte e mobilitazioni su effettive possibilità di costruzione del comune.
Maggio 2015: un anno dopo
Il percorso tracciato dalle lotte ambientali del 2014 in Calabria ha visto come protagonisti le parti più consapevoli di intere comunità. Di tale percorso, ancora in itinere, ci interessa il potenziale politico, la forma diffusa e autonoma, l’antagonismo rispetto alle “politiche dei governanti”. In particolare, ci interessa capire se questo ciclo di lotte appena concluso abbia favorito la crescita ed il protagonismo attivo delle soggettività coinvolte all’interno dei Comitati e delle comunità territoriali. In più, se la “riappropriazione del territorio” da queste invocato, non fosse significativa della possibilità di organizzare e gestire “l’ambiente”, in quanto comune, da parte delle stesse comunità.
Ad oggi ci sembra che le lotte territoriali del 2014, ad un anno dall’apice raggiunto con la manifestazione del 10 maggio a Cosenza, dopo importanti battaglie, anche vinte, siano in un momento di stasi che svilisce il loro reale peso politico. Eppure, la continuità di mobilitazioni ha fatto si che si immaginassero percorsi conflittuali e pratiche comuni particolarmente interessanti e innovative, spesso di efficace contrasto alla corruzione del comune. Ma nell’incubo di una crisi senza fine la politica dei governanti per molti aspetti è rimasta salda. Da questo punto di vista, la potenza delle lotte ambientali e dei Comitati che ne hanno tessuto le fila è rimasta imbrigliata nella rete territoriale che gli stessi Comitati si sono dati nella forma del “coordinamento”. Quest’ultimo, infatti, non ha intrapreso la strada della crescita autonoma (nei termini di desiderio di autodeterminazione e bisogno di realizzarsi oltre le “politiche dei governanti”), della critica delle gerarchie nei territori e della rivolta contro ogni tipo di accentramento decisionale. E dinanzi al crocevia tra la “politica dei governanti” e l’innovazione, senz’altro rischiosa e piena di incognite, di una “politica dei governati” ha scelto la prima. Questo ieri, mentre oggi, in questa seconda metà del 2015, nuove sfide si aprono ai Comitati, in primis quella di una battaglia politica per la decisione, l’organizzazione e la gestione in comune delle risorse ambientali, in quanto direttamente legate alla vita delle comunità e all’istituzione positiva di nuovi legami personali e relazioni sociali, finalmente liberate dalla corruzione del comune.
Note
(1) Nella Provincia di Cosenza sono state censite 268 discariche di cui 26 attive e 242 dismesse; nella Provincia di Reggio Calabria sono state individuate 190 discariche di cui 11 attive e 179 dismesse; nella Provincia di Catanzaro sono state censite 118 discariche di cui 5 attive e 113 dismesse; nella Provincia di Vibo Valentia le discariche censite ammontano a 84. Di queste 4 risultano attive e 80 dismesse; nella Provincia di Crotone sono state rilevate 36 discariche di cui 11 attive e 25 dismesse.
(2) Il Piano delle Bonifiche dei siti inquinati da Rifiuti solidi urbani redatto sulla base dell’Indagine conoscitiva sui siti potenzialmente inquinati è stata condotta nel 1999 dal Commissario Delegato per l’emergenza ambientale (ord. n. 860 del 23/12/1999). I contenuti sono stati recepiti nel “Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti” adottato a marzo del 2001 (O.C. n. 1322), approvato in via definitiva a febbraio del 2002 (O.C. n.1771) e pubblicato a dicembre dello stesso anno. Successivamente, nel 2007 è stato aggiornato e rimodulato in un “Nuovo Piano di Gestione dei Rifiuti” (O.C. n.6294). Infine, nel 2012, il Dip. regionale di Politiche dell’ambiente ha predisposto un “Piano stralcio” con il dettaglio dello “Stato di Attenzione degli Interventi in corso”, sia per i siti del Piano delle Bonifiche sia per i nuovi siti segnalati da Amministrazioni Comunali e dall’Autorità Giudiziaria. Gli atti deliberativi e i provvedimenti della Giunta Regionale emanati dal 2005 al 2009 hanno integrato l’elenco dei siti da bonificare senza però aggiornare il “Piano delle Bonifiche” come previsto dalla normativa di settore.
(3) Il Progetto Sentiero (Studio Epidemiologico Nazionale dei Territori e degli Insediamenti Esposti a Rischio di Inquinamento) ha scelto la Calabria per la redazione del rapporto Istisan 2015 incentrato quest’anno sull’epidemologia. Per acquisire i dati e le informazioni caratteristiche, le analisi del rischio e lo stato delle bonifiche, l’Istituto ha scelto l’ArpaCal per la cura di una parte sostanziale del Rapporto dal titolo “Lo studio epidemiologico dei Siti contaminati della Calabria. Obiettivi, Metodologia, Fattibilità”.
(4) Decreto del Dirigente Generale n. 365 del 26 gennaio 2006
(5) Dei siti fortemente contaminati: 7 si trovano in provincia di Cosenza, 8 in provincia di Reggio Calabria, 1 a Vibo Valentia e 2 in provincia di Catanzaro. Cfr. il “Piano Stralcio” del 2012
(6) Al 31 dicembre 2014 lo scarto tra la dotazione finanziaria complessiva e la spesa certificata dalla Regione Calabria è di un miliardo di euro. Cfr. FESR, FSE, DPS, Dotazione finanziaria complessiva e spesa certificata alla UE” in www.opencoesione.gov.it
(7) Il comune di Rossano, in provincia di Cosenza, si trova nella fascia orientale della piana di Sibari tra la Sila e la costa ionica. Fondata presumibilmente dagli Enotri nell’XI sec. a.c. passò sotto il controllo magno greco dal VII al II sec. per divenire successivamente avamposto romano. Attualmente conta circa 37.000 abitanti ed è amministrata dal Sindaco di destra Giuseppe Antoniotti. Alla ultima tornata elettorale (regionali 2014) la percentuale di astensionismo è stata del 54% (+15% rispetto alle regionali del 2010).
(8) Cfr. Consiglio Regionale della Calabria, “Approvazione del Programma di governo presentato dal Presidente della Giunta Regionale” (Xª Legislatura, 3ª seduta, 09/02/2015).
(9) Il Comune di Bisignano, posizionato al centro della provincia di Cosenza, si trova sulle ultime propaggini collinose della Sila greca, a 350 metri sul livello del mare. Fondato presumibilmente tra il XV e il XVI sec. a.c. divenne romano (in “stato schiavile”) nel 203, dopo le guerre puniche condotte al fianco dei cartaginesi. Attualmente conta oltre 10 mila abitanti ed è amministrato dal Sindaco Umile Bisignano eletto con una lista civica “Solidarietà e Partecipazione”. Alla ultima tornata elettorale (regionali 2014) la percentuale di astensionismo è stata del 53% (+11% rispetto alle regionali del 2010).
(10) I comuni di Celico e Rovito, ai piedi della Sila, a pochi chilometri da Cosenza, contano all’incirca, rispettivamente, 2.800 e 3.000 abitanti. La nascita dei due comuni è solitamente accomunata a quella degli altri “casali” cosentini ed è fatta risalire intorno all’anno mille. Attualmente Celico è amministrata dal Sindaco PD Antonio Falcone, mentre Rovito dal sindaco Felice D’Alessandro, eletto con una omonima lista e reggente un’amministrazione di centro sinistra. Alla ultima tornata elettorale (regionali 2014) la percentuale di astensionismo di Celico è stata del 42% (+7% rispetto alle regionali del 2010) mentre quella di Rovito è stata del 43% (+11% rispetto alle regionali del 2010).
(11) Il comune di Pianopoli, in provincia di Catanzaro, sorse intorno alla metà del ‘600 quando numerosi abitanti della piana di S. Eufemia si trasferirono in loco in seguito alle distruzioni di interi paesi causate da forti e continui terremoti. Attualmente conta oltre 2500 abitanti ed è amministrato dal Sindaco Gianluca Cuda. All’ultima tornata elettorale (regionali 2014) la percentuale di astensionismo di Pianopoli è stata del 64% (+20% rispetto alle regionali del 2010)
(12) Il comune di Borgia si affaccia sul mare ionio nel golfo di Squillace. La nascita è precedente al VI sec. a.c., periodo nel quale divenne un’area greca, per poi divenire intorno al 120 a.c una colonia romana col nome di Scolacium. Attualmente conta oltre 7500 abitanti ed è amministrata dal Sindaco Francesco Fusto, eletto con una lista civica “Progetto democratico” nell’ottobre 2012. All’ultima tornata elettorale (regionali 2014) la percentuale di astensionismo di Borgia è stata del 50% (+12% rispetto alle regionali del 2010). Il vicino piccolo comune di San Floro, a 260 metri sul livello del mare, domina la valle del Corace ed ha alle spalle la Sila. Attualmente conta circa 700 abitanti ed è amministrato dal Sindaco Teresa Procopio, che è stata riconfermata nel 2014 con la lista civica “Fare Insieme”. All’ultima tornata elettorale (regionali 2014) la percentuale di astensionismo di San Floro è stata del 47% (+7% rispetto alle regionali del 2010). Il comune di Girifalco, ai piedi del monte covello (456 slm), deve la sua nascita alla distruzione di due antichi paesi ad opera dei saraceni nell’836. Attualmente conta oltre 6000 abitanti ed è amministrata da un Commissario Prefettizio subentrato al Sindaco Mario Deonofrio già eletto con la lista civica “Impegno per Girifalco”. All’ultima tornata elettorale (regionali 2014) la percentuale di astensionismo di Girifalco è stata del 56% (+14% rispetto alle regionali del 2010)
(13) Vedi Sudcomune, “Lotte territoriali in Calabria”, in Commonradio #34. http://www.spreaker.com/user/commonradio/cr-34-lotte-territoriali-battaglina
(14) La fondazione di Donnici risale alla fine del IX secolo quando i cosentini, per scampare alle incursioni Saracene, abbandonarono la città, semi-distrutta, e si trasferirono sui monti e sulle località circostanti, formando i cosiddetti Casali. Rimase autonoma fino al 1857, anno in cui fu annessa al Comune di Cosenza. Il paese conta attualmente 2.500 abitanti.
(15) Nel testo Frane e Alluvioni in Provincia di Cosenza fra il 1951 ed il 1960: ricerche storiche nella documentazione del Genio Civile, a pag 229 si attesta che: «il 24 Novembre 1959 a Contrada Donnici, il fondo Biscegliette-Albicello è stato invaso dalle acque del fiume Albicello che ha creato un nuovo letto sul suddetto fondo, distruggendo circa 50 tomolate coltivate a pescheto (danni per circa £ 6.000.000)».