di MEDU (in mediciperidirittiumani.org, gennaio 2018)
Otto anni dopo la rivolta di Rosarno, poco o nulla è cambiato per i quasi 3.000 lavoratori migranti che anche quest’anno si sono riversati nella Piana di Gioia Tauro per la stagione agrumicola. Secondo i dati raccolti della clinica mobile di Medici per i Diritti Umani (Medu), attiva per il sesto anno consecutivo nella zona, i lavoratori in nero sono ben l’80%, un dato addirittura superiore a quello dell’anno precedente. Nonostante nove migranti su dieci abbiano un regolare permesso di soggiorno, essi si trovano a lavorare a cottimo o a giornata, senza contratto né busta paga, con una retribuzione ben inferiore a quella sindacale. Le condizioni di vita restano drammaticamente disumane, nonostante la recente apertura di un’ennesima tendopoli, quest’anno in grado di accogliere solo 500 persone. Medu chiede l’adozione di misure immediate, che rendano concreti già da questa stagione gli impegni presi dalle istituzioni con la firma del Protocollo del febbraio 2016, a partire dal piano per l’inclusione socio-abitativa.
“Quando sono venuto qua, non sapevo come la gente viveva. Ma non avevo altra scelta.
Non avevo mai lavorato nella raccolta delle arance. Piano piano ho visto questo non è un buon lavoro, ma è meglio che rimanere a casa a fare niente.
Ci pagano 50 centesimi per ogni cassetta di arance, 1 euro per i mandarini. Io lavoro 10-11 ore al giorno, senza un giorno di riposo. Il datore di lavoro dovrebbe fare un contratto, ma qua non funziona così…è una situazione molto difficile…”
(O., Mali)
Rosarno, 9 gennaio 2018 – Dal mese di dicembre, per il sesto anno consecutivo, i medici e gli operatori di Medici per i Diritti Umani (Medu) sono presenti con una clinica mobile nel territorio della Piana di Gioia Tauro per fornire assistenza sanitaria ed orientamento socio-legale e sui diritti del lavoro ai braccianti stranieri presenti nella zona. Come negli anni precedenti, il degrado, le baracche, la plastica ed i rifiuti che costringono le persone a condizioni di vita drammatiche la fanno da padroni e sono ovunque. Nella vecchia tendopoli di San Ferdinando, nella zona industriale, che è diventata uno dei ghetti più grandi d’Italia, dove anche quest’anno hanno trovato posto 2.000 persone in tende e baracche affollate e gelide; nel capannone attiguo che doveva far parte della nuova struttura d’accoglienza allestita lo scorso agosto ma che gli enti gestori vogliono chiudere per le difficoltà nella sorveglianza del posto, rischiando di lasciare per strada le 250 persone che vi dormono; nella vecchia fabbrica abbandonata a poca distanza dove 300 lavoratori vivono in condizioni di estremo disagio, i letti ed i materassi a terra ammassati uno accanto all’altro. Chi non trova posto qui vive in decine di casolari abbandonati nelle campagne della Piana, che danno rifugio ai lavoratori stagionali per poche decine di euro al giorno. Dappertutto servizi igienici assenti o fatiscenti. Non c’è luce e l’acqua si prende dai bagni maleodoranti o da una fontana vicina; non è potabile ma qualcuno la usa anche per bere. Senza energia elettrica, sono le bombole a gas e qualche generatore a benzina a garantire un po’ di acqua calda e la preparazione dei pasti. Tutt’attorno l’odore nauseabondo della plastica e dei rifiuti bruciati. Le strade della Piana sono un brulicare di biciclette che trasportano giovani stanchi al ritorno dalla giornata di lavoro ma anche taniche piene d’acqua, bombole a gas e sacchi di riso che si fanno strada tra enormi buche nell’asfalto, pozze d’acqua grandi come crateri e fango. Ad accomunare tutti questi insediamenti sono l’estremo degrado, l’aria irrespirabile, la situazione di insicurezza, l’estrema precarietà lavorativa ed abitativa e le condizioni igienico-sanitarie disastrose. Medu denuncia con forza da anni questa situazione vergognosa ed inaccettabile, resa ancor più drammatica e disumana dalle condizioni di lavoro che continuano ad essere caratterizzate da grave sfruttamento e pratiche illecite.
Nel corso del primo mese di attività, i medici e gli operatori di Medu hanno visitato, orientato ed informato 99 persone. Si tratta di giovani uomini con un’età media di 29 anni provenienti dall’Africa sub-sahariana occidentale, in particolare da Senegal, Mali, Costa d’Avorio, Guinea Conakry, Burkina Faso, Gambia, Ghana. Mauritania, Nigeria e Togo, giunti in Italia da meno di tre anni (80%). Il 90% è regolarmente soggiornante (nella maggior parte dei casi in possesso di permesso di soggiorno per motivi umanitari – 47% – o ricorrenti contro l’esito negativo della loro richiesta di asilo- 37%) mentre il 10% non ha un titolo di soggiorno valido (nella metà dei casi perché non ha avuto accesso alla procedura per la richiesta d’asilo). Di questi, l’8% attualmente non lavora mentre il 91% è occupato nella raccolta principalmente di mandarini ed in misura inferiore di arance. Un dato particolarmente allarmante è quello relativo al lavoro nero: l’80% delle persone visitate non ha un contratto di lavoro e nel restante 20% dei casi, pur esistendo un contratto formale, si assiste ad uno sfruttamento nel rapporto di lavoro, nella paga, nel versamento dei contributi per le giornate lavorate e nell’orario di lavoro. Se negli ultimi anni, grazie all’aumento dei controlli, la presenza di contratti sembrava lievemente in crescita – nonostante nella maggior parte dei casi si trattasse comunque di “lavoro grigio” – dai primi dati raccolti quest’anno emerge un ritorno desolante al passato, come testimonia il quadro di irregolarità contrattuale diffusa. E d’altra parte si conferma l’incapacità delle istituzioni di affrontare in modo credibile ed efficace la situazione, in un territorio permeato da un’illegalità e una criminalità radicate e pervasive. La metà dei lavoratori sono pagati a cassetta (1 euro per i mandarini, 0,50 centesimi per le arance), la restante metà a giornata con una paga che varia dai 25 ai 30 euro a giornata (molto inferiore ai 42-45 euro stabiliti dai contratti provinciali e nazionali di lavoro) per un impegno lavorativo di 7-8, a volte 10 ore al giorno. Si recano al lavoro per lo più in bicicletta (oltre 63%), mentre un quarto di loro paga per il trasporto da 2,5-3,5 euro fino a 5 euro. Se difficilmente la parola caporale emerge nei racconti delle persone incontrate, le pratiche illecite legate al reclutamento, trasporto e pagamento dei lavoratori testimoniano un quadro di illegalità diffusa e sfruttamento. Pochi sanno cosa sia una busta paga (28%) e quei pochi non sanno se la riceveranno. L’80% delle persone incontrate non sa di poter accedere all’indennità di disoccupazione agricola e solo 1 persona l’ha effettivamente percepita. Dal punto di vista medico-sanitario, le condizioni abitative e di lavoro pregiudicano in maniera importante la salute fisica e mentale dei lavoratori stagionali. Sono preponderanti le patologie dell’apparato digerente (21%) e del sistema respiratorio (17%) – direttamente riconducibili allo stato d’indigenza e di precarietà sociale e abitativa – e quelle a carico dell’apparato osteomioarticolare (22%), correlate particolarmente all’attività lavorativa. Alcune delle persone incontrate presentano chiari segni riconducibili a torture e sintomi da disturbo da stress post-traumatico e disagio psicologico, verosimilmente connessi agli eventi traumatici vissuti nei paesi di origine e lungo le rotte migratorie, in particolare in Libia.
“Ho l’asilo politico ma sono finito qui, a vivere in queste condizioni…come si fa a vivere così?Ho chiesto un posto nella nuova tendopoli, ma mi dicono che è tutto pieno.Vorrei prendere un appartamento in affitto, posso pagarlo, ma come si fa? Nessuno ti dà un appartamento in affitto qui…” (M., Nigeria)
A poche centinaia di metri di distanza dalla vecchia tendopoli è stata inaugurata nell’agosto scorso una nuova struttura di ospitalità temporanea, fatta di tende blu e bianche del Ministero dell’Interno e circondata da reticolati e telecamere, mentre un sofisticato sistema di sorveglianza controlla ingressi ed uscite. Ma i posti a disposizione sono pochi, meno di 500, e le tende si sono riempite ben prima che iniziasse la stagione agrumicola e che i lavoratori stagionali si riversassero nella Piana. Anche questa situazione abitativa d’altra parte si è dimostrata inadeguata a garantire condizioni minime di vivibilità durante i primi mesi invernali caratterizzati da piogge e temperature particolarmente rigide nelle ore notturne. L’accordo sottoscritto dall’ente gestore con il comune di San Ferdinando riguarda in ogni caso solo la gestione del campo nei suoi aspetti logistici (allestimento e manutenzione) mentre non include la previsione di altri servizi, ugualmente essenziali come il supporto e orientamento legale, il supporto sociale e psicologico, la mediazione culturale e l’orientamento sui diritti dei lavoratori.
Vista la gravissima situazione alloggiativa ed igienico-sanitaria in cui anche quest’anno versano la vecchia tendopoli di San Ferdinando e gli insediamenti circostanti, Medu ha accolto con favore la volontà di adottare soluzioni ponte per assicurare condizioni di maggiore vivibilità, dignità e sicurezza ai lavoratori migranti. E d’altra parte, in assenza di soluzioni più durature e sostenibili, la nuova struttura rappresenta da sola una soluzione del tutto parziale e poco efficace, di carattere ancora una volta puramente emergenziale. Resta invece tuttora disatteso l’impegno preso nel febbraio 2016 dalle principali istituzioni – Prefettura di Reggio Calabria, Regione Calabria, Provincia di Reggio Calabria, Comuni di Rosarno e San Ferdinando – con la firma del Protocollo operativo che prevedeva l’adozione di misure concrete e politiche abitative e strutturali finalizzate ad un’integrazione ed accoglienza diffusa dei migranti. A tale proposito, Medu ribadisce una volta ancora la necessità di affrontare in modo complessivo e programmatico la questione dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, anche attraverso l’adozione di politiche attive volte a favorire l’inserimento nel tessuto socio-abitativo locale sia dei lavoratori stagionali che arrivano nella zona nei mesi della stagione agrumicola sia agli stranieri che rimangono sul territorio nel corso di tutto l’anno. È ormai evidente che le misure di accoglienza parziali, temporanee e inutilmente dispendiose adottate fino ad oggi siano del tutto fallimentari perché lasciano i braccianti africani lontani dal centro abitato favorendo l’isolamento fisico e sociale ed il perdurare di una situazione di grave emarginazione. Occorre invece un piano abitativo strutturale da avviare quanto prima, che preveda soluzioni alloggiative concrete e sostenibili nei Comuni dell’area, per restituire dignità ai lavoratori ma anche per ridare vita a centri abitati sempre più spopolati valorizzando le centinaia di stabili in disuso presenti.
Al fine di “traghettare tale situazione verso efficaci ed efficienti politiche”, il 21 agosto scorso si è insediato un Commissario straordinario per l’area di San Ferdinando nominato dal Ministero dell’Interno. Medu auspica che questo provvedimento favorisca il rispetto degli impegni presi con la firma del Protocollo e permetta finalmente di affrontare in modo decisivo le problematiche dei lavoratori stranieri e insieme del territorio della Piana.
Medici per i Diritti Umani chiede pertanto che:
– Siano allestite nell’immediato ulteriori strutture di accoglienza provvisorie, con una capienza adeguata ad accogliere tutti i lavoratori e strategicamente ubicate sul territorio e in grado di garantire condizioni di vita dignitose (compresa la possibilità di riscaldamento delle tende) e servizi di assistenza ed orientamento sociale e legale, che permettano tra l’altro l’individuazione delle persone più vulnerabili e l’uscita dall’irregolarità di una parte della popolazione presente;
– Venga avviato già da questa stagione il piano per l’inclusione socio-abitativa previsto dal protocollo siglato quasi due anni fa e ad oggi totalmente disatteso. A tal fine, Medu fa pertanto appello alle istituzioni affinché definiscano tempistiche certe, modalità chiare e finanziamenti adeguati;
– Venga intensificato l’utilizzo di strumenti chiave per la lotta al caporalato e al lavoro nero (controlli delle aziende che impiegano lavoratori stagionali, introduzione degli indici di congruità, definizione di modalità di incontro trasparente tra domanda e offerta di lavoro);
– Vengano adottate politiche costruttive per affrontare le problematiche legate alle distorsioni della filiera produttiva e distributiva che soffocano i produttori e perpetuano le condizioni di sfruttamento e vulnerabilità dei lavoratori impiegati.
A livello nazionale e sulla base della drammatica situazione dei pazienti incontrati, MEDU chiede inoltre un impegno immediato per l’individuazione di soluzioni adeguate e indifferibili affinché:
– Venga garantita la possibilità di accedere alla procedura di richiesta della protezione internazionale a tutte le persone che arrivano sul territorio nazionale, indipendentemente dal paese di provenienza;
– Vengano garantite alle persone più vulnerabili, incluse quelle sopravvissute a tortura o trattamenti disumani e degradanti, un adeguato supporto alloggiativo e di inserimento lavorativo oltre che medico e psicologico, affinché non siano costrette a vivere in condizioni totalmente inadeguate e precarie come quelle dei ghetti per lavoratori stagionali.
Medici per i Diritti Umani (MEDU) ha avviato dal 2014 il progetto Terragiusta. Campagna contro lo sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura. I partner del biennio 2016-18 sono: Arci “Iqbal Masih” di Venosa, Flai-Cgil di Gioia Tauro, Comune di Rosarno, Terra!Onlus, Zalab, Amisnet/Echis, OIS- Osservatorio Internazionale per la Salute Onlus
Progetto realizzato con il sostegno di: Fondazione con il Sud; Fondazione Charlemagne; Open Society Foundations.